23 aprile 2023. Domenica 3a di Pasqua
EMMAUS. SENTIERI DI PASQUA

Un viaggio di fuga dalla chiesa, una sosta nella osteriaccia di Emmaus, un eccitato viaggio di ritorno alla chiesa. Praticamente è la mappa del mio cammino: incontro, riconoscimento, annuncio. Praticamente è un Cantico sulla Domenica, un Poema sull’Eucaristia, una catechesi affascinante sui sentieri pasquali di fede borderline.

3 Domenica di Pasqua.
Preghiamo
. O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane. Per Cristo nostro Signore.Amen.
Dagli Atti degli Apostoli  2, 14. 22-33.
Nel giorno di Pentecoste, Pietro, alzatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così:  «Uomini d’Israele, ascoltate ciò che sto per dire. Gesù di Nàzaret era un uomo mandato da Dio per voi. Dio gli ha dato autorità con miracoli, con prodigi e con segni. È stato Dio stesso a compierli per mezzo di lui fra voi. E voi lo sapete bene! Quest’uomo, secondo le decisioni e il piano prestabilito da Dio, è stato messo nelle vostre mani e voi, con la complicità di uomini malvagi, lo avete ucciso inchiodandolo a una croce. Ma Dio l’ha fatto risorgere, liberandolo dal potere della morte. Era impossibile infatti che Gesù rimanesse schiavo della morte. Questo Gesù, Dio lo ha fatto risorgere, e noi tutti ne siamo testimoni. Egli è stato innalzato accanto a Dio e ha ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che era stato promesso. Ora egli ci dona quello stesso Spirito come anche voi potete vedere e udire».
Salmo 15 Rit.  Mostraci, Signore, il sentiero della vita.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare.
Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra.
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 1, 17-21
Carissimi, quando pregate Dio, voi lo chiamate Padre. Egli giudica tutti con lo stesso metro, ciascuno secondo le sue opere. Perciò nel tempo che dovete passare in questo mondo, comportatevi con grande rispetto verso di lui. Voi sapete come siete stati liberati da quella vita senza senso che avevate ereditato dai vostri padri: il prezzo del vostro riscatto non fu pagato in oro o argento, cose che passano; siete stati riscattati con il sangue prezioso di Cristo. Egli si è sacrificato per voi come un agnello puro e senza macchia. Dio lo aveva destinato a questo già prima della creazione del mondo; ora, in questi tempi che sono gli ultimi, egli si è manifestato per voi. E voi, per mezzo di lui, credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato la gloria. Così la vostra fede e la vostra speranza sono rivolte verso Dio.
Dal Vangelo secondo Luca 24,13-35
Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista (afantos egheneto= invisibile divenne). Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Si alzarono subito e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

EMMAUS. SENTIERI DI PASQUA. Don Augusto Fontana

Due sono i rischi che corro come discepolo: uno quello di lasciarmi stroncare la speranza dalle smentite della storia; l’altro quello di lasciarmi cullare dolcemente da una fede protettiva e insonorizzata. Oggi i due rischi li corriamo tutti: gli smottamenti economici e politici, le devastanti grandinate di quotidiane delinquenze e le glaciazioni del nostro animo, ci confermano che il mondo non cambierà mai e che la risurrezione sia una bella favola; oppure spegniamo gli occhi sulle miserie inquietanti della storia per aprirli finalmente su pascoli tranquillizzanti alla ricerca di ferie distensive della nostra responsabilità.
La scenografia di Luca presenta tre scene in successione: un viaggio di fuga dalla chiesa, una sosta nella locanda di Emmaus, un eccitato viaggio di ritorno alla chiesa. Praticamente è la mappa del mio cammino: incontro, riconoscimento, annuncio. Praticamente è un Cantico sulla Domenica, un Poema sull’Eucaristia, una catechesi affascinante sui miei percorsi di fede borderline[1]. È un canto sulle necessarie, seppur tormentate, fedeltà all’ascolto delle Scritture, sul procedere in compagnia, sulle soste liturgiche, sullo statuto irrinunciabile di una chiesa che cammina talvolta per stanchezza e fuga e talvolta con la leggerezza dell’amante («Ora parla il mio diletto e mi dice:  Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!» Cantico 2,10).

«E avvenne mentre conversavano e discutevano, allora Gesù stesso avvicinatosi andava con loro…E avvenne mentre era seduto a tavola con loro (vv.15 e 30). È importante per l’evangelista ciò che Gesù vive con quei due discepoli, uno (una?) di nome Cleopa e l’altro senza nome perché ha il mio e il tuo nome.

Parlavano di Lui. Ecco come si sta nella comunità: non dimenticare ciò che accade intorno a noi e non tacere di Lui e dei fatti che lo riguardano. Parlarsi magari anche scaricandosi reciprocamente il proprio malumore. Gesù li lascia raccontare. Tace. Gesù non salta i fatti, anzi ne è curiosamente interessato: «Quali fatti?». E loro fanno l’annuncio che però è solo un annuncio di morte: «Gesù uomo potente in opere e parole è stato ucciso…».  La nostra ricerca di lui si ferma al sepolcro. La sua ricerca di noi ci porta oltre il sepolcro. Quella locanda di Emmaus, se non ci fosse stato lui, rischiava di diventare il muro del pianto, un lacrimatoio della camera mortuaria,

Gesù camminava con loro. I loro occhi erano “posseduti” (verbo greco krateô) dalla coscienza della propria nudità come lo sguardo di Adamo ed Eva “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi” (Gen. 3,7); posseduti dal proprio nudo ombelico. Tra poco quello stesso loro sguardo si aprirà non più sul proprio ombelico dolente ma su di Lui. Gesù entra anche nelle loro cieche visioni («siete senza testa») e nelle nostre tardive speranze («siete bradicardici: lenti di cuore»).

E fa la spiegazione delle Scritture. Rivela i limiti della loro fede. Poi, a sera, incappano in una locanda, brutta come un’osteriaccia, ma che si rivelerà la loro stupenda cattedrale. Gli dicono: «Dimora con noi». Infatti: «Ecco io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap. 3,20). E si sdraia a mensa con noi, di domenica in domenica: «E avvenne, mentre era sdraiato lui con loro», proprio come poeticamente descritto nel Cantico dei Cantici: «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia» (Cantico 2,6). Gesù si sdraia a tavola, come sempre con noi, peccatori e discepoli miscredenti. «Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero».  Stupenda differenza tra “vedere” e “riconoscere”. Gli occhi si aprono non per vedere una persona, ma per riconoscere una presenza.
Scriveva don Casati in una lettera al Vescovo Tettamanzi: «Già Dio aveva attraversa­to l’immensità dei cieli per chinarsi su di noi, l’immensità dell’obbro­brio per abbracciarsi ad una croce, ma qui in questa cena volle lasciar­si come pane, umile povero piccolo pezzo di pane. Spezzato. Non si può equivocare: il gesto del pane era umile, era silenzioso, era semplice. Ma parlava. Loro guardavano e capivano. Capivano l’amore di Dio. In un pezzo di pane. Oggi per farlo vedere l’abbiamo circondato, oserei dire assediato, di mille cose e la foresta non per­mette più di intravedere il pane, di intravedere la cena, di intravedere il cuore. Siamo ormai nella necessi­tà di spiegare i segni, quando essi stessi per loro natura dovrebbero significare. Il pane, confessiamolo, non lo si vede più. Non si vede più la cena.  Da tempo mi vado chiedendo se, anzi­ché aggiungere cose a cose nei riti, non sia l’ora, questa, di incomincia­re pazientemente ma fermamente a scrostare dagli ispessimenti, dalle verniciature so­vrapposte nel tempo, l’affresco dell’amore incondiziona­to di Dio».
Nella Bibbia quante strade, luogo di conversione.
In quella stessa ora ritornano indietro: è notte, ma per loro è come un’alba. Sono stati bruciati dal roveto ardente (Esodo 33,25): «Non era forse, il nostro cuore, ardente?». Non scompare, Gesù, ma entra come una cicatrice di un’ustione profonda, la cui forza urticante sembra placarsi un po’ solo quando si torna sulla strada per ricongiungersi, annunciare, confermare, essere confermati.
Leggendo e rileggendo la Bibbia, è tutto un camminare, un fare strada, un andare, un ripartire…
Dalla partenza di Abramo al cammino di Israele verso la terra, dal viaggio doloroso verso l’esilio al rientro in Palestina, la strada è compagna della storia di Israele. I profeti amano uscire e fanno della strada il luogo principale dei loro incontri e della loro predicazione. Gesù, come il suo maestro Giovanni il Battezzatore, ha fatto della strada il luogo dell’incontro, dell’amore che aiuta i più deboli, dell’insegnamento, del dialogo. Le mappe dei suoi spostamenti sono una ragnatela di viaggi dal nord estremo dei territori pagani alle viuzze di Gerusalemme, al deserto della Transgiordania. Pensiamo all’apostolo Paolo: un instancabile “agente di viaggio del Regno di Dio”. Ma la strada è talmente esperienza centrale nel movimento originario di Gesù che i discepoli del nazareno vengono chiamati “seguaci della via”[2] (le traduzioni usano il termine “dottrina”, ma il testo greco usa “odòs” = via). Seguire Gesù è una via, non una dottrina. Anzi Gesù stesso è “la via” (Giovanni 14,6) che conduce al Padre; ci fu, e c’è ancora, chi tenta di inchiodare quei suoi piedi su un legno per tenerlo lì, immobilizzato e innocuo.
Amo Giuseppe d’Arimatea, il discepolo che, con Nicodemo, va a schiodare Gesù dalla croce (Mt 27,59); amo pensare al loro gesto come ad un vero rito liturgico per rimettere Gesù sui sentieri e ridargli l’opportunità storica di camminare come risorto, benchè un po’ straniero, in mezzo a noi. Meglio la chiesa che gli schioda i piedi, di quella che tenta di incollarglieli a sé. Maria di Magdala e l’altra Maria lo avevano incontrato nei pressi del sepolcro e «gli presero i piedi e lo adorarono» (Mt. 28,9-10), crocifiggendolo a sé in un’adorazione amante che Lo avrebbe però incaprettato. Ma Gesù dice: «Andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno». L’evangelista Giovanni parla solo di Maria di Magdala che vuole «abbracciare i piedi»;  Gesù le dice: «Non mi trattenere» (Gv 20,17).
La strada, esperienza e metafora dell’incontro e dell’immersione diretta nella realtà, è anche l’immagine di questa necessità di non fermarci al già acquisito, di non tuffarci nelle nostre cose, di non fasciarci di sicurezze o di certezze come per difenderci dai problemi del mondo. La strada, con tutto ciò che essa comporta nella realtà e nella metafora, è il luogo in cui Dio ci raggiunge con segni, voci, presenze che ci invitano a conversione. Nella mia vita è successo così: 26 lunghi anni di lavoro laico, esposto alle contingenti intemperie della quotidianità senza scudi protettivi, in strada con i lavoratori in sciopero, sui sentieri quotidiani nella intricata foresta amazzonica degli indigeni Shuaras e sui polverosi sentieri rossi con i sem-terra e i poveri delle favelas brasiliane, nei corridoi trasudanti incubi nel carcere e in quelli non meno dolenti degli ospedali e delle Case per anziani. La strada, cioè il cammino quotidiano dentro i fatti e in compagnia delle persone, per molti anni mi hanno cambiato la vita. Ora sono diventato uno spelacchiato gatto domestico, un boomer, come mi chiamano  le mie giovani pronipoti. «Se la polvere della strada, con i suoi intoppi e le sue incertezze, con le sue fermate e le sue “persone ferite”, non ci tocca, noi rischiamo di “farci la nostra vita”, di ritagliarci i nostri spazi, ma perdiamo la sintonia con la realtà della carovana umana, specialmente con i passeggeri delle ultime carrozze. Un viaggio tra i “buoni, belli e sani” è la maniera più sicura per naufragare nella noia, per seppellirci nel narcisismo, per non capire nulla della storia.  La strada è il luogo in cui, come Gesù, possiamo incontrare le “cattive compagnie” che ancora sanno gridare, sognare, esprimere il desiderio di un mondo altro, resistere, piangere ed abbracciare. Penso con grande gratitudine a Dio a quella parte della chiesa che accetta i rischi, le incertezze, gli incidenti, gli errori, le fragilità, le gioie e i sogni che nascono nella carovana dei viandanti e non ha la pretesa di dirigere il cammino, ma vuole vivere la compagnia e seminare lungo il percorso le parole e i segni dell’evangelo»[3].
Ho letto, tempo fa (2008), «Pretacci» di Candido Cannavò, il giornalista sportivo che ha sparato lì un curioso diario di viaggio tra i preti da marciapiede o, come li chiama lui, i pretacci: «Preti che interpretano la diffusione della parola in modo combattivo perché il Vangelo è combattimento, è sfida agli ste­reotipi, ai luoghi comuni, alle convenienze. Alla paura. Preti come padre Mario Golesano, che è andato nel quartiere di Brancaccio a cercare di riempire il vuoto lasciato da don Pino Puglisi, ammazzato da un sicario al quale regalò il suo ultimo sorriso(…). Come mon­signor Giancarlo Bregantini, che nel ruolo di vescovo è stato il faro di quanti si battono contro la ‘ndrangheta. Come padre Alex Zanotelli, che dopo aver passato anni a fare il missionario nell’immenso quartiere che vive a ridosso della spaventosa discari­ca keniota di Korogocho, cerca adesso di portare Dio nel quartiere della Sanità di Napoli. E poi «preti da combattimento» che hanno dedica­to la vita ad altre guerre davvero sante, nel senso più nobile del termine, come don Gino Rigoldi, il cap­pellano del «Beccaria» che per tanti anni ha cercato di aiu­tare ragazzi venuti su un po’ storti (…). Preti spesso scomodi. «Pretacci». Come il caposti­pite al quale un po’ tutti dicono di richiamarsi: don Lorenzo Milani, il parroco di Barbiana che incitava i pastori di anime a non aver timore di “rendersi antipatici, noiosi, odiosi, insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla lu­ce”»[4].


[1] Al confine tra lo stato normale e quello patologico.
[2] Atti 9,2; 19,9 e 23; 24,14
[3] Franco Barbero
[4] C. Cannavò, Pretacci. Storie di uomini che portano il Vangelo sul marciapiede, Rizzoli.

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