COMMERCIO ARMI
Una legge per nascondere
Giorgio Beretta[1] (Rocca 1 marzo 2024)
Lo scorso 21 febbraio è stato approvato al Senato il Disegno di legge (Atto Senato n. 855) di iniziativa governativa che modifica la legge n. 185 («Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento»), legge che dal 1990 regolamenta le esportazioni italiane di armamenti. Col pretesto di apportare «alcuni aggiornamenti» per «rendere la normativa nazionale più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale», il governo Meloni intende porre sotto il proprio controllo e limitare l’applicazione dei divieti sulle esportazioni di armamenti, ridurre al minimo l’informazione al parlamento e alla società civile eliminando, tra l’altro, dalla Relazione ufficiale annuale tutta la documentazione riguardo alle operazioni svolte dagli istituti di credito nell’import-export di armi e sistemi militari italiani.
La legge sull’export di armamenti.
La legge 185/90 è stata una conquista delle associazioni cattoliche e laiche che negli anni Ottanta con la campagna «Contro i mercanti di morte» hanno promosso un’ampia mobilitazione nazionale denunciando gli scandali del commercio italiano di armamenti: mobilitazione che ha portato il parlamento a definire norme rigorose per impedire l’esportazione di materiali militari non solo agli Stati sottoposti a misure di embargo, ma anche a Paesi coinvolti in conflitti armati, a governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e verso Paesi la cui politica contrasta con i principi dell’articolo 11 della Costituzione. Prima, per cinquant’anni, era rimasta in vigore la legge fascista promulgata col Regio Decreto n. 1161 dell’11 luglio 1941, firmato da Mussolini, Ciano, Teruzzi e Grandi, con cui l’intera materia delle esportazioni di armamenti era vincolata al «segreto di Stato» e sottratta all’esame del Parlamento.
Il veto del Governo sui divieti.
Con la riforma prospettata dal Disegno di legge l’applicazione di questi divieti viene sottoposta alla discrezione del Governo attraverso il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd) presieduto dal Presidente del Consiglio. Un simile Comitato era previsto in origine dalla legge, ma successivamente era stato cancellato. Adesso viene reintrodotto per «assicurare un coordinamento adeguato al massimo livello politico delle scelte strategiche in materia di scambi di armamento», si legge nella relazione della Relatrice, la senatrice Stefania Craxi (Forza Italia). Ma, di fatto, con un’unica funzione: porre il veto ai divieti alle esportazioni di armi che il Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale (Maeci), su proposta dell’Autorità nazionale Uama (Unità Autorizzazioni Materiali Armamento), può decidere in applicazione delle norme stabilite dalla legge e, soprattutto, delle decisioni votate dal Parlamento. Il Comitato Interministeriale Scambi Difesa (Cisd) avrà, infatti, quindici giorni di tempo per esaminare i divieti proposti dal Maeci e da Uama e potrà annullare ogni loro proposta di divieto senza che nessuno, nemmeno il Parlamento, ne sappia nulla. È, in concreto, la nuova formula del «segreto di Stato» del governo Meloni che si attua anche attraverso un’ampia serie di ulteriori modifiche alla legge. Ciò che si vuole evitare è il ripetersi di casi come quello del gennaio 2021 in cui Uama e il ministero degli Esteri, a seguito di una “soluzione parlamentare votata ad ampia maggioranza, hanno revocato le licenze di esportazione di «bombe e missili» ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per il loro coinvolgimento nel conflitto in Yemen: un conflitto che ha causato più di 20mila vittime tra la popolazione civile innescando una gravissima catastrofe umanitaria tuttora in corso. La decisione di Uama e del ministero degli Esteri ha creato fibrillazioni nell’industria militare che per la prima volta, nei trent’anni dall’entrata in vigore della legge, si è vista revocare alcune licenze in base alle prescrizioni della legge.
Ridurre l’informazione al Parlamento.
Ma ciò a cui il Governo mira con il disegno di legge è soprattutto ridurre l’informazione al Parlamento e alla società civile. Informazione che è già stata erosa negli anni, ma che è tuttora garantita dalla Relazione che la Presidenza del Consiglio deve inviare ogni anno alle Camere riportando tutte le operazioni autorizzate e svolte riguardo alle esportazioni di armamenti. Oggi la Relazione deve, infatti, contenere «indicazioni analitiche – per tipi, quantità e valori monetari – degli oggetti concernenti le operazioni contrattualmente definite indicandone gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla presente legge» (Art. 5). Nel disegno di legge, il governo si era però limitato a chiedere di «rafforzare la piena leggibilità della relazione» ( … ) «preferendo, laddove possibile, la presentazione di sintesi esplicative delle attività esaminate alla mera produzione di allegati documentali». Il colpo di grazia è arrivato, invece, da un emendamento (emendamento 1.15 testo 2) presentato in Commissione al Senato che modifica radicalmente la Relazione annuale. Se verrà approvato anche alla Camera non sarà più richiesto, come previsto fin dall’entrata in vigore della legge 185/90, che la Relazione annuale contenga le succitate «indicazioni analitiche», ma soltanto – come già avviene – «i Paesi di destinazione con il loro ammontare suddiviso per tipologia di equipaggiamenti» e «con analoga suddivisione, le imprese autorizzate» e «l’elenco degli accordi da Stato a Stato».
Sparisce la lista delle «banche armate».
Ma soprattutto dalla Relazione verranno eliminati tutti i dati sulle singole autorizzazioni ed esportazioni per tipo di armi, quantità e valore e tutte le informazioni riguardo alle attività delle banche. Sono proprio queste informazioni che hanno finora permesso di ricostruire e documentare numerose esportazioni di materiali d’armamento a Paesi arischio e di conoscere gli istituti di credito che le hanno appoggiate. I correntisti non sapranno più dalla Relazione annuale quali sono le banche, nazionali ed estere, che traggono profitti dal commercio di armi in particolare verso regimi autoritari e Paesi coinvolti in conflitti armati. Grazie alla costante e meticolosa azione della Campagna di pressione alle «banche armate», dal 2000 tutte le banche hanno adottato delle direttive di responsabilità sociale di impresa per definire la loro posizione riguardo non solo alla produzione e alla commercializzazione di armi nucleari, mine anti-persona, bombe a grappolo ma anche riguardo agli armamenti convenzionali. Con l’emendamento approvato al Senato viene cancellato l’obbligo di riportare nella Relazione governativa tutte le informazioni sugli istituti di credito e quindi di poter avere dalla fonte ufficiale informazioni precise sulle attività bancarie. Un favore all’Aiad, l’Associazione nazionale che raduna tutte le 214 principali aziende del settore della difesa, che ha ripetutamente accusato le banche di «voler fare le etiche» limitando finanziamenti e sevizi all’industria miliare. La legge 185/90 non è mai stata accettata dall’industria militare e dai centri di informazione e di ricerca ad essa collegati. Con queste modifiche, promosse dal governo Meloni, ma sostenute anche da alcuni rappresentanti dell’opposizione, si vogliono mettere a tacere le associazioni attive nel controllo dell’export militare. In vista dell’esame alla Camera la Rete italiana pace e disarmo ha predisposto una mobilitazione nazionale per impedire che il commercio italiano di armi torni ad essere oggetto di una pericolosa opacità che non favorisce la promozione della pace e della sicurezza comune, ma alimenta guerre e violenze, sostiene le violazioni dei diritti e provoca morti innocenti in tante zone del mondo. Tutte le informazioni sono disponibili su sito: www.retepacedisarmo.org
[1] Giorgio Beretta è analista del commercio interazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni. Svolge la sua attività di ricerca per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia che fa parte della Rete italiana pace e disarmo (Ripd).