La vita bella di Gesù.
“Si è manifestata la grazia di Dio per insegnarci a vivere in questo mondo” ( Lettera a Tito 2,11). Nella notte di Natale risuonano per noi queste parole dell’Apostolo, parole alle quali abbiamo purtroppo prestato poca attenzione. Tesi ad affermare che Gesù è venuto nel mondo per salvarci con la morte in croce, ci siamo quasi dimenticati che Gesù è venuto innanzitutto per vivere come uomo tra noi uomini, in una vita che ci raccontasse e ci spiegasse Dio, ma che fosse anche una vita esemplare, anzi, la vera vita umana, la vita come Dio l’aveva pensata creando l’uomo nell’in-principio. Gesù è il vero Adamo, l’uomo per eccellenza, proprio perché è nato, è cresciuto, ha vissuto da uomo vero, senza mai contraddire la volontà e il desiderio di Dio: così facendo ha raccontato chi è l’uomo e ha mostrato agli uomini come va vissuta l’esistenza umana. Prendere sul serio la fede cristiana, che è fede nell’incarnazione, significa non dimenticare mai la vita umana di Gesù che, nella mente dei cristiani, “necessita di essere liberata dai cliché generalmente devozionali che la presentano in modo riduttivo, trasmettendone una comprensione più approssimativa che autentica”, come ha affermato il teologo Pino Colombo.
Certamente la vita di Gesù, come la conosciamo a partire dai Vangeli, è stata una vita buona, bella e beata, ma va confessato che nella tradizione cristiana se ne è colta soprattutto la “bontà”, mentre non si è quasi mai meditato sulla bellezza e sulla felicità di questa esistenza. L’esito della croce, di fatto, ha assorbito quasi tutta l’attenzione e ha fatto ritenere inconciliabili con una visione di bellezza e felicità l’impegno radicale, le prove, la fatica, le sofferenze, il supplizio della croce. In realtà, anche se gli evangelisti non hanno lasciato una biografia di Gesù, né tantomeno un ritratto psicologico, ci hanno descritto alcuni tratti della sua vita e alcune impressioni da lui suscitate su quanti lo accostarono, che sono più che sufficienti per mostrare la qualità della sua esistenza.
Sì, una vita buona perché segnata dalla logica dell’amore, e quindi capace di mostrare Gesù mite e umile di cuore, misericordioso verso tutti, pronto a incontrare nell’amore il prossimo, gli altri, gli ultimi. “Gesù passò facendo il bene”, sintetizza Pietro (Atti 10,38), mentre il quarto Vangelo così testimonia al compimento della vita di Gesù: “avendo amato i suoi, li amò fino all’estremo” (Giovanni 13,1). La bontà della sua vita era talmente visibile che fu chiamato “maestro buono” (Marco 10,17). Di questa qualità, comunque, i cristiani sono sempre stati profondamente consapevoli ed essa ha nutrito nei secoli la loro meditazione.
Ma la vita di Gesù non è stata solo buona, è stata anche “bella”: una vita umanamente bella. È stata la vita di un uomo povero, certo, ma sempre una vita dignitosa, mai toccata dalla miseria; vita di un uomo abitato dal desiderio costante di testimoniare Dio come Padre, ma mai scaduta a livello di militanza febbrile; una vita impegnata, sì, ma in cui c’era la possibilità di cogliere la bellezza della natura, degli uomini, degli eventi quotidiani. Gesù non ha vissuto isolato, ha sempre cercato e attuato una profonda comunione: conduceva una vita in comune con fratelli e sorelle che lo seguivano, e l’esperienza affettiva che viveva con loro era così intensa da giungere a chiamarli “amici”; con alcuni di loro il rapporto era ancora più profondo, come testimonia quello personalissimo con il discepolo amato. Gesù aveva amici veri, cari al suo cuore, come Marta, Maria e Lazzaro, persone amate presso cui sostare, riposarsi e ristorarsi, vivendo l’avventura di chi conosce lo scambio dell’amore fraterno. Gesù aveva il tempo di fermarsi per pensare, per contemplare la natura, il ritmo delle stagioni, i mestieri del suo tempo. Nelle sue parole si discerne una sapienza umana profonda e convincente, sapienza assunta anche dalla molteplice e variegata saggezza umana. Come non cogliere la sua vita bella nell’eco delle sue osservazioni sul rosso del cielo di sera, sul fico che intenerisce le gemme all’inizio dell’estate, sugli uccelli dell’aria nutriti dal Padre, sui gigli dei campi vestiti meglio di Salomone, sull’abile sapienza delle donne che impastano il lievito e degli uomini che attendono che il seme germogli. Se si leggono le parabole, personalissime creazioni di Gesù, si coglie in lui un contemplativo, un uomo che ha affinato capacità poetiche, che ha imparato a meditare su quanto lo circondava, a tal punto da cogliere sinfonicamente la propria storia assieme alle altre creature. Sì, Gesù insegnava ai discepoli, predicava alle folle, si chinava sui malati e liberava gli indemoniati, ma mai la sua vita contraddisse il segno della bellezza.
E Gesù ebbe anche una vita beata, felice, anche se certo non di una felicità mondana. Perché la vita di Gesù è stata una vita ricolma di “senso”, anzi, del senso del senso: infatti, solo chi conosce una ragione per cui vale la pena dare la vita conosce anche una ragione per cui vale la pena vivere. Gesù questa ragione l’aveva. Più volte ha affermato di voler dare la vita per i fratelli, gli amici, gli altri: questo dava senso alla sua vita, rendendola una missione in piena obbedienza amorosa al Padre. Così, nella pienezza di senso che viene dall’amore, anche la croce poteva essere accolta con serenità. Non Pilato è stato un uomo felice, pur con tutto il suo potere; non Erode è stato un uomo felice, con tutta la sua voracità. Gesù invece, pur salendo in croce, pur patendo una morte ignominiosa, lo ha fatto nella libertà e per amore. Sì, davvero esistenza beata, quella di Gesù: vita impregnata della felicità di chi conosce il senso della vita e degli eventi, di chi trasale di gioia per l’esperienza quotidiana della presenza amorosa di Dio e dell’amore che è possibile vivere con gli altri uomini. Vita buona, bella e beata, dunque vita esemplare per noi cristiani perché vita umanissima, liberamente e amorosamente assunta da colui che, essendo Dio, si è fatto uomo in un’esistenza reale e quotidiana come la nostra. Ancora oggi molti cristiani si negano la comprensione di questa verità leggendo la vita di Gesù a partire dalla croce: ma non è la croce che ha reso grande Gesù, è Gesù che ha dato significato alla croce!