La croce, punto di congiunzione tra Dio e il mondo.
Ermes Ronchi
L’unica parola che il cristiano ha da consegnare al mondo è la parola della Croce. Dio è entrato nella tragedia dell’uomo, perché l’uomo non vada perduto, con il mezzo scandalosamente povero e debole della croce. Per sapere chi sia Dio devo inginocchiarmi ai piedi della croce.
Tra i due termini, Dio e mondo, Dio e uomo, che tutto dice lontanissimi, incomunicabili, estranei, le parole del Vangelo indicano il punto di incontro: il disceso innalzato, al tempo stesso Figlio dell’uomo e Figlio del cielo. Cristo si è abbassato, scrive Paolo, fino alla morte di croce; Cristo è stato innalzato sulla croce, dice Giovanni, attirando tutto a sé. Tra Dio e il mondo il punto di congiunzione è la croce, che solleva la terra, abbassa il cielo, raccoglie i quattro orizzonti, è crocevia dei cuori dispersi.
Colui che era disceso risale per l’unica via, quella della dismisura dell’amore. Per questo Dio lo ha risuscitato: per questo amore senza misura. L’essenza del cristianesimo sta nella contemplazione del volto del crocifisso, porta che apre sull’essenza di Dio e dell’uomo: essere legame e fare dono.
Ha tanto amato il mondo da dare il Figlio. Mondo amato, terra amata. Occorre ripartire da queste parole: noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama. E noi qui a stupirci che, dopo duemila anni, ci innamoriamo ancora di Cristo proprio come gli apostoli. Quale attrazione esercita la croce, quale bellezza emana per sedurci?
Sulla croce si condensa la serietà e la dismisura, la gratuità e l’eccesso del dono d’amore; si rivela il principio della bellezza di Dio: il dono supremo della sua vita per noi.
Lo splendore del fondamento della fede, che ci commuove, è qui, nella bellezza dell’atto di amore.
Suprema bellezza è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia annullare in quel poco di legno e di terra che basta per morire. Veramente divino è questo abbreviarsi del Verbo in un singulto di amore e di dolore: qui ha fine l’esodo di Dio, estasi del divino. Arte di amare. Bella è la persona che ama, bellissimo l’amore fino all’estremo. In quel corpo straziato, reso brutto dallo spasimo, in quel corpo che è il riflesso del cuore, riflesso di un amore folle e scandaloso fino a morirne, lì è la bellezza che salva il mondo, lo splendore del fondamento, che ci seduce.
Il Crocifisso, seduttore innamorato
P.Ermes Ronchi
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?». Gesù sa che non saranno mai i potenti a risolvere le lacrime del mondo o gli errori del singolo. Il male si risolve solo portandolo. Sulla croce. Che cos’è la Croce, se non l’affermazione alta che Dio ama altri, e me fra questi, più della propria vita? La Croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante. È il segnale massimo lanciato da Dio all’uomo, il punto ultimo in cui tutto si incrocia: le vie del cielo, della terra e del cuore.
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
E la croce che il discepolo deve prendere? Per capire che cosa intenda Gesù forse basta sostituire la parola «croce» con la parola «amore»: «Se qualcuno vuol venire con me, prenda su di sé tutto l’amore di cui è capace».
La croce del discepolo non sono i pesi quotidiani, le fatiche o le malattie: cose solo da sopportare. La croce vera, dice Gesù, è da «prendere», non da sopportare. Da scegliere, come riassunto di un destino e di un amore: «Scegli per te il giogo dell’amore. Non amare è solo un lento morire. Ricordati che il vero dramma dell’uomo non è perdere la vita, ma non incontrare nessuno che valga più della propria vita, non avere nessuno per cui valga la pena dare la vita».
Tutti, io per primo, abbiamo paura del dolore, del sacrificio fino al dono di sé; ci sia concesso però di non aver paura di amare. Come fa Dio, il grande seduttore. Non guardare il dolore, guarda l’amore. Tra i nomi di Dio Geremia introduce quello di seduttore: «mi hai sedotto Signore e io mi sono lasciato sedurre» (Geremia 20,7). In Dio c’è desiderio, cuore di carne, passione, bellezza. Un Dio innamorato. Era impossibile resistergli, resistere alla passione di Dio per me. Eppure Geremia si sente solo e incompreso, e protesta la sua amarezza. Pietro è deluso nel suo entusiasmo, incompreso nel suo realismo. Dio che seduce e delude? Che conquista e poi lascia smarriti? Sì, perché chiama a pensare i suoi pensieri, a seguire i suoi passi, ad avere i suoi sentimenti, ti allontana dal vecchio cuore. E se all’orizzonte si staglia una croce, Pietro non ci sta, e io con lui, e mi sento un po’ tradito. Allora ci soccorre Geremia: «Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, mi sforzavo ma non potevo contenerlo…». Senza questo fuoco, la passione di Dio per me, io sarei niente. Guadagnerei il mondo ma perderei me stesso.