Domenica 23a. 8 settembre 2019
MA QUANTO CI COSTA? Don Augusto Fontana

«Chi mi segue senza portare la sua croce non può essere mio discepolo»; da noi basta un raffreddore e la nostra sequela si affloscia. Eppure anche da noi l’essere discepoli comporta dei costi e, grazie a Dio, qualcuno sta conducendo la sua buona testimonianza (in greco si dice martyrìa che ha il sapore del martirio). Un martirio non è necessariamente solo quello cruento. Il filosofo Kierkegaard diceva: “se Cristo venisse oggi fra noi, forse sceglierebbe il martirio del ridicolo”, cioè quella particolare coerenza tra il Vangelo e la vita, che rende un cristiano così inattuale nel mondo..Come Simone di Cirene: «Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène

Preghiamo. O Dio, tu sai come a stento ci raffiguriamo le cose terrestri, e con quale maggiore fatica possiamo rintracciare quelle del cielo; donaci la sapienza del tuo Spirito, perché da veri discepoli portiamo la nostra croce ogni giorno dietro il Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Dal libro della Sapienza 9,13-18
Quale, uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza».
Sal 89 Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.
Tu fai ritornare l’uomo in polvere, quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte.
Tu li sommergi: sono come un sogno al mattino, come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca.
Insegnaci a contare i nostri giorni E acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando? Abbi pietà dei tuoi servi!
Saziaci al mattino con il tuo amore: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.
Dalla lettera a Filèmone 1,9-10.12-17
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.
Dal Vangelo secondo Luca 14,25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

 MA QUANTO CI COSTA? Don Augusto Fontana
Il Vangelo produce miele, ma ha anche un pungiglione.
Dalle pieghe delle statistiche affiorano storie di vittime uccise mentre rendevano testimonianza di fedeltà al Vangelo e alla gente. Insieme con don Saulo Careno, ucciso in Colombia c’era – ad esempio – anche Marita Linares, impiegata dell’ospedale, così come a fianco di don William de Jesus Ortez, parroco in Salvador, assassinato all’interno della chiesa c’era il sacrestano Jaime Noel Quintanilla, di soli 23 anni. Ancora: l’imboscata con la quale i ribelli del Lord Resistence Army[1] hanno ucciso don Lawrence Oyuru, è costata la vita ad altre 25 persone. Di loro non sappiamo il nome e nessuno aprirà cause di beatificazione. Eppure anche a costoro noi, cristiani del nord del mondo meno familiari col martirio, dovremmo guardare come a modelli. Silenziosi, ma modelli.

«Chi mi segue senza portare la sua croce non può essere mio discepolo»; da noi basta un raffreddore e la nostra sequela si affloscia. Eppure, sotto altre forme meno drammatiche ma altrettanto severe, anche da noi l’essere discepoli comporta dei costi e, grazie a Dio, qualcuno sta conducendo la sua buona testimonianza (in greco si dice martyrìa che ha il sapore del martirio). La vita di un cristiano che ci crede è spesso soggetta a un martirio che non è necessariamente solo quello cruento. Il filosofo Kierkegaard diceva: “se Cristo venisse oggi fra noi, forse sceglierebbe il martirio del ridicolo”, cioè quella particolare coerenza tra il Vangelo e la vita, che rende un cristiano così inattuale nel mondo. Come Simone di Cirene: «Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù» (Luca 23,26); non sappiamo se si sia mai convertito, se abbia accettato di buon animo l’ordine datogli, se abbia compatito il Cristo o se lo abbia maledetto. I discepoli, passivi, accettano che sia un esterno a portare la croce.

«…molta gente accompagnava Gesù durante il suo viaggio». L’evangelista usa, in greco, il verbo suneporeuonto che si traduce con “accompagnare, viaggiare insieme; verbo molto diverso da quello che Gesù mi chiede di vivere: “seguimi!”. Anche allora c’era una chiesa di massa fatta di curiosi a corrente alternata (“oggi vado, ma domenica prossima si vedrà…dipenderà…”) o di cercatori di miracoli, presto delusi come fungaioli incostanti e debosciati se i cesti restano vuoti dopo pochi passi nel bosco. Per essere cristiano, la chiesa italiana esige in realtà molto poco. Si battezzano i neonati e non si esige quasi nulla dai suoi genitori; al massimo, un incontro preparatorio all’atto del battesimo e un vago impegno di agire cristianamente educando il bambino secondo la legge di Dio e i comandamenti della chiesa. Ma al principio non era così. Per essere discepolo, Gesù poneva delle dure condizioni, che invitava a pensarci seriamente: «Se uno di voi decide di costruire una casa…si mette a calcolare la spesa per vedere se ha soldi abbastanza per portare a termine i lavori…». Saremmo pochi (e, credimi, penso anche a me), se dovessimo davvero compiere le tre condizioni che Gesù esige dai suoi discepoli.

Per la prima condizione (“se uno vuol venire con me e non mi preferisce a suo padre e a sua madre, a sua moglie e ai suoi figli, ai suoi fratelli e sorelle, e persino a se stesso, non può essere mio discepolo“) il discepolo deve essere disposto a subordinare, ridimensionare, relativizzare tutto all’adesione al Signore e alle esigenze del Vangelo. Gesù e il suo piano di creare una società alternativa al sistema mondano stanno al di sopra dei legami famigliari. Ma attenzione: non chiede di scegliere tra famiglia e parrocchia, ma di scegliere Lui nei legami familiari. Diceva Padre E.Balducci[2]: «La caratteristica dell’annuncio evangelico non è la squalificazione dei rapporti di sangue ma l’apertura costante di un orizzonte che va al di là del gruppo a cui si appartiene e che apre possibilità non contenute nei vincoli di parentela o del gruppo etnico. Gesù additando se stesso come degno di amore molto più che il padre, la madre, la moglie e i figli, non getta indifferenza su questi rapporti, ma chiama all’universalità dell’amore e della dedizione. Seguire lui nell’ombra della croce significa seguirlo nella dedizione per tutti gli esseri: “Quando sarò sulla croce attirerò tutti a me”. Questa istanza alla universalità va in conflitto con l’amore di gruppo. Sappiamo che i vincoli del sangue gravano, come dice il libro della Sapienza che leggiamo oggi, sulla mente affaticandola e oscurandola. Noi pensiamo al mondo attraverso gli schemi del gruppo famigliare o etnico in cui viviamo: il sangue colora l’intelletto. L’universalità vera ci è negata, non riusciamo a liberarci del tutto dal peso della carne da cui deriviamo. La novità del Cristo è la rottura di tutti questi vincoli, la loro relativizzazione. Perché Gesù è stato messo in croce e gli apostoli furono perseguitati? Per la loro opposizione diretta alla presunzione di un gruppo (della famiglia o della nazione) di essere l’intero orizzonte di Dio».

Per la seconda condizione (“chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo“) non si tratta di fare sacrifici o di mortificarsi, ma di accettare concretamente che l’adesione a Gesù comporti dei costi di fronte alle pressioni conformistiche della società. Perciò non è necessario essere precipitosi onde evitare di promettere più di ciò che possiamo effettivamente sostenere. Come per la costruzione di una torre che esige di fare una buona pianificazione per calcolare i materiali di cui disponiamo; o come un re che pianifica una battaglia precipitosamente, senza sedersi a studiare le sue possibilità di fronte al nemico.

La terza condizione (“chiunque non rinuncia a tutto ciò che ha non può essere mio discepolo“) ci sembra eccessiva. Come se fosse poco dare la preferenza assoluta al progetto di Gesù ed essere disposti a soffrire per questo la persecuzione, Gesù esige qualche cosa che sembra al di sopra delle nostre forze: rinunciare a tutto ciò che si ha. Si tratta, senza dubbio, di una formulazione estrema che va interpretata. Il discepolo deve essere disposto persino a rinunciare a ciò che ha, se questo è d’ostacolo a porre fine ad una società ingiusta nella quale pochi accaparrano i beni della terra di cui altri necessitano per sopravvivere. L’altro ha sempre la preferenza. Ciò che è proprio cessa di essere una proprietà quando l’altro lo necessita. Solo dalla distribuzione si può parlare di giustizia, solo dalla povertà si può lottare contro di essa. Solo da ciò si può costruire la nuova società, il Regno di Dio: sradicando l’ingiustizia sulla terra.

Per quanti di noi, come me, tolgono con frequenza il pungiglione al Vangelo e preferirebbero che le parole e i gesti di Gesù fossero meno radicali, leggere questo testo risulta duro e tremendamente esigente. Non invano il libro della Sapienza formula oggi, sotto forma di domanda, la difficoltà che comporta il conoscere il disegno di Dio: « Chi tra gli uomini potrà mai conoscere la volontà di Dio? Chi potrà sapere quel che il Signore vuole?… Ma le cose del cielo, chi mai ha potuto esplorarle?».  Per questo preghiamo: « Nessuno ha conosciuto la tua volontà se non eri tu a dargli la sapienza, se dal cielo non gli mandavi il tuo Spirito Santo».

Il salmo 89 ci rivela il nostro vero profilo: siamo polvere, un soffio di tempo, un filo d’erba che dura un giorno, una goccia di rugiada al sole. Donaci, o Dio, la sapienza del cuore per andare contro corrente ed avere la capacità di quell’impegno progressivo e a caro prezzo che chiede il Vangelo.   Ma ciò che nel vangelo ci viene proposto come esigenze radicali di Gesù, non è tanto l’inizio del cammino, ma la meta alla quale dovremmo tendere, se vogliamo seguire Gesù. Forse non giungeremo mai a vivere con questa radicalità le esigenze di Gesù, ma non dobbiamo rinunciarci, per quanto ci possiamo trovare ad anni luce da questa utopia.
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[1] L’Esercito di resistenza del Signore, attivo dal 1987, è un gruppo ribelle di guerriglia di matrice cristiana, che opera principalmente nel nord dell’Uganda, nel Sudan del Sud, nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica Centrafricana.
[2] Padre Ernesto Balducci (muore nel 1992 a 69 anni, a seguito di un grave incidente stradale), presbitero-teologo-scrittore. Profeta dimenticato dalle generazioni che non l’hanno conosciuto e non hanno avuto la fortuna di essere lambite dall’irruenza urticante evangelica delle sue letture bibliche in simbiosi con le lucide analisi sociali, ecclesiali e politiche. L’ostilità della Curia diocesana di Firenze e di papa Pio XII, gli valse l’allontanamento da Firenze. Fu un sostenitore dell’obiezione di coscienza al servizio militare e nel 1964 fu condannato dal tribunale per apologia di reato con parallela denuncia al Sant’Uffizio. Nel 1965 Balducci riuscì a riavvicinarsi a Firenze grazie anche all’intervento di papa Paolo VI. Fu una delle personalità di maggior spicco nella cultura del mondo cattolico italiano nel periodo che accompagnò e seguì il Concilio Vaticano II.

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