«I magi non erano re e non erano tre; e non avevano offerto né oro, né incenso, né mirra…»; fu così che, da quella omelia, alcuni parrocchiani si defilarono per sempre e io mi bruciai la possibilità di diventare vescovo o Papa. Me ne sono fatto una ragione. Chi osa toccare la leggenda, muore. La leggenda coccola gli appetiti fantastici, la profezia li turba. Matteo ricopriva, nella sua comunità, quel ruolo che nella sinagoga veniva chiamato “Meturgheman”, colui che traduceva in dialetto aramaico il testo ebraico e ne dava spiegazioni. Matteo, mentre narra Gesù, sfoglia questa Bibbia.
Dal libro del profeta Isaìa 60,1-6
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.
Sal 71 Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
O Dio, affida al re il tuo diritto, al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis[1] e delle isole portino tributi, i re di Sceba e Saba[2] offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 3,2-3a.5-6
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Dal Vangelo secondo Matteo 2,1-12
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente[3] a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
ANNUNZIO DEL GIORNO DELLA PASQUA
Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza. Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 12 aprile. In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 26 febbraio. L’Ascensione del Signore, il 24 maggio. La Pentecoste, il 31 maggio. La prima domenica di Avvento, il 29 novembre. Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore. A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. Amen.
DALLA LEGGENDA ALL’INCANTO. Don Augusto Fontana
«I magi non erano re e non erano tre; e non avevano offerto né oro, né incenso, né mirra…»; fu così che, da quella omelia, alcuni parrocchiani si defilarono per sempre e io mi bruciai la possibilità di diventare vescovo o Papa. Me ne sono fatto una ragione. Chi osa toccare la leggenda, muore. La leggenda coccola gli appetiti fantastici, la profezia li turba.
Matteo ricopriva, nella sua comunità, quel ruolo che nella sinagoga veniva chiamato “Meturgheman”, colui che traduceva in dialetto aramaico il testo ebraico e ne dava spiegazioni. Matteo, mentre narra Gesù, sfoglia questa Bibbia. E’ alla ricerca di pagine che lo aiutino a meditare sull’evento di Gesù “re dei giudei” rifiutato dai teologi della propria religione, dai poteri costituiti e misteriosamente accolto da pagani impuri e non circoncisi. Ne esce un racconto «molto leggendario, però ricchissimo di contenuti simbolici e prefigurativi»[4]. E ne nasce anche una festa liturgica che nelle mani del cattolicesimo occidentale si è un po’ sottosviluppata.
L’ex priore di Bose, Enzo Bianchi, commentava: «Per il cristianesimo orientale, il Natale è una festa piccola; la grande festa – che corrisponde al nostro Natale – è l’Epifania. Nel primo millennio l’Epifania celebrava, nell’unico giorno, la venuta dei magi, il Battesimo nel Giordano, le nozze di Cana, come dice ancora oggi l’antifona dei Vespri : «Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo…». L’Oriente è dossologico (cioè più celebrativo che emozionale e conoscitivo ndr.). Ritiene un’eresia il fatto che noi possiamo parlare di Gesù bambino. Anche per la Chiesa del primo millennio l’importante della vita di Gesù è dal Battesimo in poi, perché il Battesimo è la manifestazione ad Israele, le Nozze di Cana la manifestazione ai discepoli, l’Epifania la manifestazione alle genti, ai popoli lontani. Queste tre grandi manifestazioni vengono incluse nell’ Epifania chiamata addirittura Teofania, cioè manifestazione di Dio»[5].
Attorno a Gesù, Matteo mette in scena alcuni personaggi, chiamati màgoi (astrologi o osservatori del cielo stellato?) provenienti da non si sa dove. Certamente non sono giudei. La loro origine extra-comunitaria è chiara. Gli offrono la loro presenza. Ed anche i prodotti della loro tradizione e dei loro rituali; doni che hanno evocazioni e profumi misteriosamente cultuali, messianici, pasquali. I campesinos ecuadoreñi gli avrebbero offerto un poncho, una collana di pepas e maialini[6]. Ho il sospetto che non sempre gli sia gradito l’onore adorante che proviene dalla smagliante e siliconata società occidental-cattolica; anzi, spesso Lui pare gradire che l’offertorio liturgico rovesci – sulle bianche tovaglie – arrugginiti spezzoni di lavoro, lacrimate piaghe purulente, dolci baci di amori fedeli o ricostruiti, bambole resuscitate dalle discariche delle favelas, cantilene di salmi al ritmo di luridi banjos.
Una stella, poi, fa impazzire teologi, biblisti e astrologi, fa sognare uomini e donne dell’Oroscopo, emoziona coreografi di presepi, degni eredi dei mesopotamici che accoglievano il solstizio d’inverno e, forse, stelle comete, con 12 giorni di festeggiamenti. Tutti gli antichi credevano che quando nasceva un uomo si accendesse una stella. Anche gli israeliti avevano accolto la misteriosa profezia di un veggente pagano, Balaam: «Una stella spunta su Giacobbe, uno scettro(Messia) sorge da Israele»[7]. Occhi puntati, dunque, verso le tenebre della storia in attesa che il Messia ebreo vi tracciasse dentro la sua scia di vivaci speranze. La stella/simbolo appare, scompare, riappare, si sposta, si ferma; «perfino un antico commento latino osserva che qui Matteo sta esagerando. Evidentemente non sta parlando di una cometa o di un altro qualsiasi fenomeno astrologico. E’ come se parlasse di un angelo»[8]. E’ come se parlasse dei segni dei tempi, delle nostre tormentate coscienze, delle pagine scritte e non scritte dei nostri giornali. Ottant’anni anni dopo la morte/resurrezione di Gesù, la comunità ricorda che già nella casa (“casa” e non “grotta”) di quell’infanzia ecclesiale avevano incominciato a circolare stranieri inattesi (senza Bibbie o Encicliche in tasca) e doni provenienti da lontane tradizioni e rituali, e che i primi baci erano scesi a livello di bambino con l’arabo calore adorante di un inchino. Gesti e figure quotidiane capaci di essere elevate a simbolo di un’adorazione liturgica ad alta densità di significato messianico: «Che il Messia viva e gli sia dato oro di Saba» (Salmo 72, 15). Gesù detto Cristo non è più il Dio tribale, la proprietà privata di un club di devoti. In quella casa giungono uomini con percorsi zigzaganti, scandalosi per occhi e orecchi troppo verginali. Inizia la Cristofania, la trasparenza, a dispetto di ogni rivendicazione e requisizione da parte di “eredi aventi diritto” (Efesini 3, 2-6). Il palcoscenico creato da Matteo, infatti, così illuminato da annunci e luci sconfinanti, possiede anche una parete ammuffita. Si vedono profilarsi ombre di sapienti rabbini, barbogi teologi dalla facile citazione testuale. E, compagno di merende, un agitatissimo capetto volgare e machiavellico, Erode. Tutti lì a sfogliare pagine di Santa Scrittura pietrificate dalla loro abitudinarietà e dai loro privati e minacciati interessi. Eppure anche in quelle mani si è conservata la secolare Rivelazione, le profezie senza tempo, le chiavi di lettura dei segni dei tempi, delle nostre tormentate coscienze e delle pagine scritte e non scritte dei nostri giornali. «Vi sono dunque due coordinate che consentono di individuare il luogo in cui si trova il Messia: la stella e la Bibbia. La stella che rappresenta i segni dei tempi, le occasioni della storia e anche, più banalmente, i casi della vita. E’ il Verbo iscritto nella creazione, il linguaggio silenzioso delle cose. La stella conduce vicino all’evento messianico, ma da sola non raggiunge il bersaglio: occorre anche la verifica della Santa Scrittura. I magi non salgono direttamente a Betlemme, si fermano a Gerusalemme. E’ da Gerusalemme che esce la Torà, la Parola del Signore. Solo nella congiunzione fra la stella apparsa ai pagani e la parola custodita da Israele è possibile individuare l’evento del messia. La stella conduce alla Scrittura e la Scrittura riattiva la stella: insieme conducono al luogo dove si trova l’Emmanuele, il Dio-con-noi. E’ a quel momento che la stella si ferma, la parola si fa evento e noi siamo ricolmi di una grandissima gioia»[9]. Il Libro Santo e la vita celebrano un bel matrimonio. Ma mi picchia nel cuore un martellante interrogativo. Cosa vuol dirmi la Rivelazione con quello strano finale: «Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese»? Aggirano Gerusalemme e tornano ai confini. Padre Balducci forse una risposta l’aveva trovata: «Non c’è più nessuna città santa, perché è la terra che è santa. Non c’è più una casta sacra che domina e dirige le speranze, perché le speranze camminano secondo il movimento dello Spirito. Gesù dirà – in contrapposizione perfetta alle parole di Isaia (Isaia 60, 1-6) – non che i popoli verranno verso Gerusalemme, ma che i suoi discepoli andranno fino ai confini della terra. La salvezza viaggerà verso i confini. Ecco la novità del vangelo»[10].
Individuare e annunciare prodigi “normali”. Il mondo è sotto la grazia.
Quando e dove possiamo salutare il mondo facendo vibrare le speranze che contiene? L’uomo moderno non ha perduto il senso del simbolico e del sacramentale. Continua ad essere generatore di simboli espressivi della sua interiorità, come gli uomini delle epoche passate, e continua ad essere capace di interpretarli. Forse è divenuto sordo ad un certo numero di simboli che nel tempo si sono sclerotizzati e mummificati. Tanto che molti segni, anche nella chiesa, devono essere spiegati; ma un segno che deve essere spiegato ci dice che è un segno che dovrebbe essere cambiato. Il simbolico, tuttavia, resta parte integrante del vissuto dell’essere umano. L’uomo si colloca di fronte alle cose e agli eventi con tre atteggiamenti principali: la diffidenza, la manipolazione, l’abitudine. E’ raro l’atteggiamento di sorpresa, stupore, contemplazione.
All’origine del sacramento c’è sempre una storia: «C’era una volta una brocca…un pezzo di pane…un uomo chiamato Gesù…una cena pasquale…un’adultera…». Il linguaggio dei sacramenti non è argomentativo, ma evocativo. Talvolta diventa performativo cioè porta ad una modificazione della prassi umana. Padre Leonard Boff mi spiega, con una simpatica teologia, il valore simbolico/sacramentale dei segni, degli eventi della vita e delle cose: «In casa mia c’è una brocca di alluminio. Essa ha accompagnato la famiglia nei molti traslochi. Prese parte a tutto. Venne sempre con noi. Ogni volta che si beve da lei non si beve solo acqua, ma la freschezza, la dolcezza, la storia familiare. Quella brocca, come il sentiero di casa, la pipa lasciata dal padre sul tavolo prima che un infarto lo togliesse agli affetti: tutte cose che cessano di essere cose e diventano persone: puoi udire la loro voce e far riaffiorare il loro messaggio. Sono cose che possiedono un cuore. Si sono trasformate in sacramenti: sono cioè segni che contengono, mostrano, rammentano, visualizzano, trasmettono un’altra realtà diversa da loro ma presente in loro. L’uomo moderno guarda, spesso senza vedere. Le cose hanno una fessura attraverso la quale penetra una luce che illumina il loro mistero e che le rende trasparenti, diafane. Dentro questa brocca c’è la storia della famiglia. Gesù di Nazaret è questa brocca. E’ la Parola data, l’AMEN per sempre di Dio di fronte alla quale anche noi tentiamo di impegnarci con una nostra parola data»[11].
Tu, o Dio, danzi con tutti. E io non sono geloso.
Occorre tornare a rivisitare le nostre speranze e le nostre certezze relative alla volontà di salvezza universale da parte di Dio. Recentemente il dibattito ecumenico si è imbarbarito, dopo fasi alterne di positivi avvicinamenti e di letargo. Occorre anche rendere stima e onore a tutti coloro che hanno continuato a navigare con prudenza e con apertura critica verso un macro-ecumenismo che ha le sue radici teologiche anche nel genio di Paolo, frutto dell’incrocio creativo (non esente da tensioni) del suo cuore ebraico, della sua mente greca e della sua vita romana: «per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di Cristo: che i pagani e i non circoncisi cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo. A me è stata concessa questa grazia di annunziare a loro le imprevedibili ricchezze di Cristo»[12]. Dobbiamo continuare a restare aperti, a diffondere la cultura dell’integrazione reciproca, a cercare e creare occasioni di incontro contro ogni gelosia religiosa e teologica, a frenare ogni strisciante predicazione che porti il Padre di Gesù a ridiventare un Dio tribale, confessionale ed esclusivista.
[1] Una località adesso sconosciuta. La Spagna sembra il paese più probabile.
[2] Le ipotesi più probabili sulla loro ubicazione indicano l’attuale Yemen oppure l’attuale Somalia.
[3] Un testo apocrifo, il Vangelo armeno dell’Infanzia, dice: “Il primo era Melkon re dei Persiani; il secondo Gaspar, re degli Indi; il terzo Balthasar re degli Arabi”; i tre personaggi diventarono i
rappresentanti dei discendenti di Cam, Sem e Jafet, figli di Noè, cioè di tutte le razze di Europa, Asia e Africa.
[4] Alberto Mello Evangelo secondo Matteo,Ed Qiqajon, 1995.
[5] Appunti dal Corso tenuto a Bose da Enzo Bianchi: Dal Gesù della storia al Cristo della fede.
[6] cf. Antonietta Potente La diversità: dono di Dio al mondo, dono del mondo a Dio, in ADISTA 89/2000.
[7] Libro dei Numeri 24,17. L’antica versione aramaica, riflettendo la tradizione giudaica, sostituisce il termine “scettro” con “messia”.
[8] A. Mello op. cit. pag. 67.
[9] A. Mello op. cit. pag. 68-69.
[10] E.Balducci Il mandorlo e il fuoco, Borla, Vol. 3 pag. 72.
[11] elaborazione da Leonard Boff I sacramenti della vita , Borla.
[12] passim Lettera agli Efesini cap. 3