I SANTI: avanzi di Dio sulla terra, briciole di Cristo. D. Augusto Fontana

Preghiamo.
Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un’unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l’abbondanza della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo 7,2-4.9-14
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele. Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».

Sal 23. Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.
Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti. 

È lui che l’ha fondato sui mari e sui fiumi l’ha stabilito.
Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli.
Egli otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 3,1-3
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

Dal vangelo secondo Matteo 5,1-12a
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

UNA MOLTITUDINE. I santi: “avanzi di Dio sulla terra, briciole di Cristo”.
«Come ci sono “santi pagani” anche nella Bibbia (pensiamo a Enok, a Noè, a Giobbe, che non sono ebrei eppure sono esaltati dalla Scrittura), così ci sono i “santi musulmani”, come questo gruppo di dervisci, una confraternita spirituale: «Una sera eravamo una trentina di dervisci e non avevamo che una sola pagnotta. La facemmo a pezzetti, poi spegnemmo la lampada; così, se qualcuno avesse mangiato più pane dell’altro, non avrebbe dovuto vergognarsi. Dopo un po’ di tempo, la lampada fu riaccesa. Ed ecco, tutti i pezzetti di pane erano ancora lì, perché ciascuno aveva rinunciato a mangiare a favore degli altri». Il racconto arabo esalta soprattutto una qualità che anche il cristianesimo pone alla base dell’autentica santità, cioè l’amore»[1].

Sacro o santo?
La santità costituisce lo sfondo di questa celebrazione. Tema così lontano dal nostro linguaggio e dall’orizzonte quotidiano; realtà che non nasce spontanea e tuttavia è così incredibilmente alla portata di mano in quanto offerta a tutti e non solo ad alcuni eroici e straordinari personaggi. Pio XII in un radiomessaggio del ‘55 diceva: «L’uomo può considerare il suo lavoro come vero strumento di santificazione perchè lavorando perfeziona in sé l’immagine di Dio, adempie il dovere e il diritto di procurare a sé e ai suoi il necessario sostentamento e si rende utile alla società [2]» e Giovanni XXIII «Risponde perfettamente ai piani della Provvidenza che ognuno perfezioni se stesso attraverso il suo lavoro quotidiano[3]».
Nella più rigida tradizione ebraica solo Dio poteva essere chiamato SANTO (Qadosh); sarebbe stata una bestemmia attribuire ad un uomo il titolo che spetta solo a Dio, il Separato, il Trascendente, l’Altissimo, il Totalmente-Altro. Il concetto che, nell’ebraismo, più si avvicina a quello di santo è tzadik, una persona giusta. Il Talmud dice che in qualsiasi momento almeno 36 anonimi tzaddikim vivono tra di noi per evitare che il mondo venga distrutto.
In verità mi pare che la Bibbia faccia qualche eccezione. La parola qadosh viene usata per la prima volta nel libro della Genesi: ” E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò“. Inoltre, quando sul Sinai stava per essere pronunciata la parola di Dio, il Signore ci ha collegialmente risucchiati nel suo incomunicabile attributo: ” Voi sarete per me un popolo santo “. Soltanto dopo che il popolo cedette alla tentazione di adorare un oggetto, un vitello d’oro, fu ordinata l’erezione di un Tabernacolo, la sacralità nello spazio. Prima venne la santità del tempo, poi la santità dell’uomo, ed infine la sacralità dello spazio. Approfondiamo questo tema.
La parola qadosh significa «se­parare», porre una frontiera tra l’area del tempio da quella profana. Più corretto, allora, in questo caso sarebbe tradurre con «sacro», che rimanda automaticamente a qualco­sa di sacerdotale, templare, sacrificale, liturgico e che evo­ca incensi e rituali. Il «sacro» è la definizione di un’ area «pura» (un sinonimo usato dal libro del Levitico) ove si può inse­diare Dio, che per definizione è «sacro-santo», come ricor­da a Isaia il coro angelico che ascolta nel tempio il giorno della sua vocazione: «Santo, santo, santo è il Signore dell’universo» (Is 6,3). Il sacro per sua natura divide perché si oppone a ciò che è limitato, imperfetto, umano.
A questo punto sorge spontanea una domanda: che valore e che rischi contiene in sé la visione sacrale? Da un lato, il sacro tutela la purezza del concetto e della realtà di Dio, la sua trascendenza e distanza, impedendone la riduzione a realtà manipolabile, conservandone la sua qualità di total­mente Altro. D’altro canto, però, il sacro isola, rigetta e si pone in tensione col profano; si fa autosufficiente, e tutto ciò che non appartiene alla sua sfera diventa il male, il peccato, l’impuro; suo sogno è quello di sacralizzare il maggior ambito possibile (politica, cultura, società) così da porlo sotto la propria ferrea tutela. Al sacralismo si oppone il «santo» inteso in senso esi­stenziale e morale: la santità non si isola ma, pur conser­vando la sua identità, coesiste col profano, lo feconda sen­za assorbirlo. Il Verbo è diventato carne e ha posto la sua tenda fra noi. Alla morte di Gesù il tendone del tempio che divideva lo spazio del Santo dei Santi dal cortile del popolo, si “lacerò da cima a fondo”: lo spazio sacro deborda amichevolmente, come un fiume in piena, sullo spazio e il tempo profano. Ora Dio santo abita nel cortile di noi povere creature fragili e inquinate. «Io sono Dio e non uomo, so­no il santo in mezzo a te» (Os 11,9). Un «santo» che si inse­dia in mezzo al suo popolo e alla sua storia, non isolan­dosi e respingendo l’uomo ma coinvolgendolo e santificandolo.

Una moltitudine…
«Siate santi perché io sono santo» (Levitico 11,44 e 45; 19,2). Dalla liturgia di oggi emerge una prima caratteristica della santità: è collettiva, popolare, comunitaria, plurale, corale: una moltitudine immensa che nessuno poteva contare di ogni nazione, popolo, razza e lingua – dice l’Apocalisse – Ecco la generazione che cerca il tuo volto – dice il Salmo 24. Generazioni intere ci hanno preceduto e ci hanno consegnato la fede. Noi adulti, a nostra volta, siamo la generazione che consegna in eredità ai piccoli e ai giovani il seme del Vangelo e i suoi valori. Il salmo 145 recita: «Di padre in figlio si tramanda quello che tu hai fatto per noi, tutti raccontano le tue imprese».   Lasciamoci prendere da questa connotazione: la mia santità personale non basterebbe ancora; sarebbe aristocratica. Santi sì, dunque, ma insieme. La chiesa della domenica terrena (quella del settimo giorno) e quella eterna (quella dell’ottavo giorno) è una chiesa di persone che portano le stimmate della storia che hanno vissuto insieme. Nella prima lettura lo scenario è una liturgia che si svolge davanti al trono e all’agnello, con canti, vesti, gesti e riti. I santi sono un popolo che celebra l’uscita dalla grande tribolazione. Noi alla domenica partecipiamo a quella liturgia corale.

 …che segue UNO…
La santità proposta da Gesù non coincide con le pratiche di purificazione rituale o con la volontà di separazione che caratterizzavano Israele e contro le quali i profeti e Gesù stesso hanno avuto molto da dire. La santità del popolo cristiano si identifica con la sequela di Gesù, cioè nel dare forma alla vita quotidiana secondo lo stile ed esempio di Gesù che ha incarnato il Dio trascendente nella concreta storia dell’umanità. Le beatitudini annunciano innanzitutto un’azione di Dio, i suoi criteri e i suoi obiettivi inaugurati prima di tutto nella vita, nel messaggio e nelle azioni di Gesù. Il motivo per cui certe persone vengono dette beate deriva dal fatto che Dio ha scelto di avere un’attenzione particolare per loro ed un impegno particolare a loro favore: (“Congratulazioni, Dio sta dalla tua parte perchè tu sei dalla parte di Dio”). Le Beatitudini non dichiarano, dunque, prima di tutto ciò che l’uomo deve fare, ma ciò che Dio è intenzionato a fare a favore di persone il cui stato di pericolo e di debolezza attira il suo amore e la sua compassione. Beato non equivale al nostro “contento” o “soddisfatto”. Non è beato chi soffre o chi è povero, ma chi cammina per la via giusta. Le beatitudini dichiarano che Dio non è estraneo al dolore e alla debolezza che sempre ci accompagnano. Dio ci ama anche nel nostro soffrire e soccombere. Come ha fatto con il primo beato che è Gesù: “Tu solo il Santo, Tu solo il Signore, Tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo”. E dietro lui anche noi, come descrive una immagine poetica: Miriadi di uccelli volavano sotto la rete tesa al suolo. Incessantemente si alzavano in volo, urtavano la rete, ricadevano a terra. Uno spettacolo triste. Ed ecco un uccello si lanciò a sua volta, si ostinò a lottare contro la rete e d’improvviso, ferito e coperto di sangue, la ruppe e si lanciò nell’azzurro. Fu un grido di vittoria di tutti gli uccelli. Un mormorio infinito di ali si precipitò verso la breccia, verso lo spazio infinito[4].

 ...nella grande tribolazione.
Noi stiamo ancora passando nella grande tribolazione che io oggi interpreto come fatica della coerenza tra ciò che annunciamo e ciò che facciamo, tra ciò che celebriamo e ciò che viviamo. Ecco dunque il martirio della grande tribolazione: la coerenza tra la veste lavata al settimo giorno col sangue dell’agnello e l’abito dei sei giorni di lavoro, di famiglia e vita sociale, la coerenza tra ciò che siamo già da ora (figli di Dio) e ciò che saremo e non è stato ancora pienamente rivelato, come dice la seconda lettura.

Chi sono coloro che attraversano, dietro Gesù, la grande tribolazione?
I poveri: coloro che non si lasciano possedere dalle cose e tuttavia sanno che una certa disponibilità di beni materiali è necessaria alla crescita della persona umana e per questo apprezzano il lavoro e partecipano attivamente ad un’equa distribuzione delle risorse, dei profitti e dei guadagni, con sobrietà.
quelli che sono nel pianto: quelli addolorati per il male che c’è nel mondo e dentro di sè, come Gesù che piange su Gerusalemme; coloro che si fanno carico degli sbagli altrui.
I miti e misericordiosi: quelli che sono comprensivi, affabili, non aggressivi al punto di rinunciare ai propri interessi e si acquistano la stima con la forza della tenerezza e della solidarietà con chi è in difficoltà. Diceva Gandhi: «Se tutti applicassimo il principio del “occhio per occhio” tutto il mondo diventerebbe cieco».
Gli affamati della giustizia: quelli che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica.
I puri di cuore: quelli che sanno che il male cova dentro a ciascuno come radice di idolatria e vigilano su se stessi prima ancora che denunciare gli altri. Quelli che sono leali, sinceri.
I perseguitati: quelli che sanno che essere cristiani ha un costo. Là dove la fede è a caro prezzo.

«L’utopista, il rivoluzionario, il santo caratterizzato dallo spirito liberatore è una persona coerente: la sua fedeltà muove dalla radice della sua persona per arrivare fino ai minimi dettagli che gli altri trascurano: l’attenzione ai piccoli, il rispetto totale ai subordinati, lo sradicamento dell’egoismo e dell’orgoglio, la preoccupazione delle cose comuni, il generoso impegno nei lavori non rimunerati, l’onestà nei confronti delle leggi pubbliche, la puntualità, il riguardo per gli altri nella corrispondenza epistolare, il non fare distinzione di persone, il non lasciarsi comprare dal denaro. Ogni persona finisce qualche giorno per vendere la sua coscienza, la sua dignità, la sua onestà… La corruzione è, a molti livelli, una piaga impressionante. Il giorno-per-giorno è il test più affidabile per mostrare la qualità della nostra vita e lo spirito da cui è animata. essere ciò che si è, dire ciò che si crede, credere ciò che si predica, vivere ciò che si proclama. Questa del giorno-per-giorno viene ad essere una delle principali forme di “ascetica” della nostra spiritualità. L’eroismo della realtà quotidiana, domestica, abituale, l’eroismo della fedeltà che arriva fino ai dettagli oscuri e anonimi. Dimmi come vivi una giornata qualsiasi, e ti dirò se è valido il tuo sogno di un domani diverso»[5].

I beati sono quelli che hanno detto a Dio: «Signore se vuoi che io cambi, accarezzami». Dio li ha accarezzati e loro sono cambiati. Sono coloro che nella grande tribolazione hanno salvaguardato la coerenza tra il settimo giorno e i sei giorni, hanno collaborato con Dio alla guarigione del mondo e per questo quando muoiono cadono nelle mani del Signore.

E dunque, Signore, / non guardare ai nostri peccati, / ai nostri quotidiani tradimenti, / a tutte queste viltà segrete e palesi, / ma guarda alla fede di tutti i giusti della terra: / ai giusti di qualunque religione e fede, / ai giusti senza nome, silenziosi e umili, / uomini e donne di cui nessuno / ha mai avvertito che neppure esistessero / e invece il loro nome era scritto sul tuo Libro: / gente che incontravamo per via  / e neppure salutavamo, / e loro invece ti salutavano / e pregavano per te e tu non sapevi: / qualcuno che abitava in periferia, / altri, nei campi, gente del deserto: / il portinaio di qualche monastero, / una madre, la quale ha solamente dato, / e un altro che è riuscito a perdonare. / Signore, sono costoro che ti rendono gloria / a nome dell’intero creato, / a nome di tutto il genere umano: / moltitudine che mai nessuno riesce a numerare: / Signore, guarda a tutti coloro / che non sanno neppure se esisti  / e chi sia il tuo Cristo (forse per causa nostra) / e invece sono vissuti per la giustizia  / e la verità e la libertà e l’amore… / per queste cose hanno attraversato / il mare della grande tribolazione: / hanno subito chi la deportazione e l’esilio, / chi le feroci torture e il lungo carcere; / e altri sono stati fatti sparire / come se non fossero mai esistiti / sulla faccia della terra: / bambini, donne e sacerdoti, / e molti, moltissimi uomini del sindacato; / e altri che hanno sopportato  / ogni avvilimento e disprezzo / e oblio perfino dalle proprie chiese: / sono essi i tuoi santi / che ora compongono la “mistica rosa” / del tuo paradiso, / uomini e donne a te carissimi / fra gli stessi santi dei nostri calendari: / sono loro a comporre anche la tua gioia, / la grande festa nei cieli. / Amen.
(David Maria Turoldo, Sono questi i tuoi santi).

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[1] SANTI SENZA RECINTI di Gianfranco Ravasi (AVVENIRE – 01 Novembre 2002 )
[2] citato in H. Fitte Lavoro umano e redenzione, Armando editore,1996 pag. 35
[3] Mater et magistra n.232-233.
[4] Aproches de Jésus, Le Centurion, Paris
[5] Mons.Pedro Casaldáliga, José M. Vigil, Fedeli nella vita di ogni giorno.

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