UCRAINA – Ortodossia russa
Storia di una deriva. I due fuochi: Putin e le comunità in Ucraina
Thomas Bremer[1] (IL REGNO -ATTUALITA’ , n° 6, 15 MARZO 2022)
La decisione del presidente russo Vladimir Putin d’attaccare l’Ucraina il 24 febbraio scorso e l’inizio della guerra hanno collocato la Chiesa ortodossa russa in una situazione estremamente difficile. Mentre un’alta percentuale delle sue comunità si trova in Ucraina e lì la maggior parte dei fedeli è leale verso lo stato ucraino, la posizione della Chiesa ortodossa russa è sempre molto vicina allo stato russo: questo genera un conflitto interno, il cui esito al momento non è prevedibile.
Sullo sfondo di questa problematica c’è la situazione estremamente complicata delle Chiese ortodosse in Ucraina. Il paese, diventato indipendente con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, ha alle spalle una lunga storia e gioca un ruolo centrale nella storia delle Chiese dell’Europa orientale.
Nel X secolo il granduca Vladimiro di Kiev abbracciò il cristianesimo e fece battezzare la popolazione del suo regno, la «Rus». I primi missionari, sacerdoti e vescovi giunsero da Costantinopoli, per cui la Rus adottò la forma greca, detta in seguito «ortodossa», del cristianesimo. Quando gli assalti dei tartari indebolirono sempre più la Rus di Kiev, il centro delle tribù slave orientali si spostò dal territorio dell’Ucraina attuale verso Nord. Lì si sviluppò la città di Mosca, menzionata per la prima volta a metà del XII secolo, che alla fine divenne il centro più importante: cellula germinale del Regno russo, acquistò con il passare del tempo un’estensione e importanza sempre maggiore.
All’epoca non esistevano ancora nazioni nel senso moderno del termine; solo in seguito gli slavi orientali si distinsero in russi, ucraini e bielorussi. Nel XVII secolo, Mosca aveva il controllo della maggior parte dell’Ucraina attuale. Di conseguenza, il discorso nazionale russo determinò anche il modo in cui vennero considerati gli altri due gruppi nazionali: nazioni non a pieno titolo, ma appartenenti «propriamente» alla nazione russa.
Dal punto di vista ecclesiastico, le due città – Kiev e Mosca – dipesero per molto tempo da Costantinopoli. Nel 1589 si riconobbe l’autonomia (autocefalia) della Chiesa russa dagli altri patriarcati della Chiesa ortodossa. Kiev continuò a restare sotto Costantinopoli; i dettagli del passaggio della Chiesa di Kiev sotto la sovranità del Patriarcato di Mosca nel 1686 sono tuttora controversi. La Chiesa ortodossa di Mosca pretese e ottenne la giurisdizione ecclesiale su tutti i fedeli ortodossi nell’Impero russo, diventando così l’unica Chiesa ortodossa ammessa.
Anche quando le rivoluzioni del 1917 posero fine all’Impero russo e portarono al potere il Governo sovietico, questa situazione cambiò solo per poco tempo. Nel XIX secolo intanto in Ucraina era sorta e cresciuta una coscienza nazionale, che includeva anche il desiderio di una propria Chiesa ortodossa che non dovesse dipendere da quella russa. Dopo il 1917 si riuscì a fondare una tale Chiesa, contro la resistenza dell’ortodossia russa. In un primo tempo i nuovi governanti la sostennero, ma dopo alcuni anni la vietarono e la distrussero. Dopo la Seconda guerra mondiale, venne nuovamente concessa alla Chiesa ortodossa russa una vita ecclesiale limitata e le vennero assegnate anche le comunità esistenti in Ucraina. Solo nella fase finale dell’URSS lo stato mise fine al suo controllo sulle comunità religiose, per cui esse poterono svilupparsi liberamente.
Il periodo delle tre Chiese
In Ucraina s’innescarono processi di divisione, che sfociarono dopo il 1992 nell’esistenza di tre Chiese ortodosse:
- la Chiesa ortodossa ucraina, che rimase e rimane in comunione con la Chiesa ortodossa russa, ma gode di un alto livello di autonomia;
- la Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Kiev, che si era separata dalla Chiesa ortodossa ucraina e pretendeva di essere una Chiesa nazionale ucraina;
- la Chiesa ortodossa ucraina autocefala, che si considerava quella succeduta alla Chiesa di breve durata dell’inizio del XX secolo.
Di queste tre Chiese, solo una, ossia la Chiesa ortodossa ucraina, era riconosciuta da tutta l’ortodossia; le altre due erano considerate Chiese non canoniche, ossia gruppi scismatici. La Chiesa ortodossa ucraina era anche la Chiesa più grande; per molti anni il numero delle sue comunità (che viene pubblicato annualmente da un organo statale e che è un indicatore affidabile, perché non dà il numero dei membri) era di gran lunga maggiore di quello delle altre due Chiese prese insieme.
Questa situazione è durata fino al 2018. Dal 2014, a causa delle proteste a Kiev, dell’annessione della Crimea e della creazione delle «Repubbliche popolari» nella parte orientale del paese, la posizione della Chiesa ortodossa ucraina si era fatta più difficile, perché veniva accusata d’essere una Chiesa «russa». Viceversa essa aveva cominciato a sottolineare continuamente la sua identità ucraina. Tuttavia il semplice fatto di essere parte della Chiesa ortodossa russa la rendeva bersaglio di attacchi.
Nella campagna per l’elezione presidenziale, che ha avuto luogo nella primavera del 2019, l’allora presidente Petro Poroshenko con il suo motto «Esercito, lingua, fede» ha strumentalizzato anche la questione della Chiesa: lo slogan implicava che si dovesse sostenere l’esercito per la riconquista dei territori occupati, che si dovesse rafforzare la lingua ucraina rispetto a quella russa e che nel paese dovesse esservi una sola Chiesa ortodossa che non doveva avere nulla a che vedere con la Chiesa ortodossa russa.
Il presidente è riuscito a convincere il patriarca ecumenico di Costantinopoli a creare una Chiesa ucraina unita. Essa è nata dalla fusione della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Kiev e della Chiesa ortodossa ucraina autocefala, è stata chiamata «Chiesa ortodossa di Ucraina» e nel gennaio del 2019 ha ottenuto da Costantinopoli l’indipendenza ecclesiastica (autocefalia).
Tutto questo è avvenuto contro la volontà della Chiesa ortodossa russa e della Chiesa ortodossa ucraina. Dei circa 90 vescovi di quest’ultima solo due sono entrati nella nuova Chiesa. La Chiesa ortodossa russa ha rotto le relazioni ecumeniche con Costantinopoli e con altre tre Chiese ortodosse che avevano riconosciuto la Chiesa ortodossa di Ucraina: la Chiesa di Grecia, il Patriarcato di Alessandria e la Chiesa di Cipro. Da allora, l’ortodossia mondiale è divisa, anche se alcune Chiese continuano a restare come in passato in comunione sia con Costantinopoli sia con la Chiesa ortodossa russa.
A seguito di questi avvenimenti in Ucraina esistono due Chiese ortodosse (accanto ad alcune altre più piccole, ma trascurabili). In base ai sondaggi più recenti il numero dei membri della Chiesa ortodossa di Ucraina sembra un po’ superiore, anche se i fedeli della Chiesa ortodossa ucraina sono più attivi sul piano religioso, frequentano più spesso il culto e s’impegnano maggiormente nelle attività della Chiesa.
Degno di nota è il fatto che oltre un terzo degli ucraini ortodossi si qualifichino come «semplicemente ortodossi», per cui non vogliono lasciarsi etichettare in nessuna Chiesa. Molte persone frequentano chiaramente anche comunità di entrambe le Chiese. Il numero delle comunità della Chiesa ortodossa ucraina (circa 12.400) continua a essere sostanzialmente maggiore di quello della Chiesa ortodossa di Ucraina (circa 7.200). Circa il 3% delle comunità della Chiesa ucraina è passato nella Chiesa ortodossa di Ucraina; ma questi passaggi, dal maggio 2019 quando il presidente Poroshenko ha perso le elezioni, sono ridotti al minimo. La situazione si è quindi stabilizzata.
Questa era la situazione quando è iniziata l’aggressione russa contro l’Ucraina. Già il giorno prima, il capo della Chiesa ortodossa ucraina, il metropolita Onofrio, ha sottolineato l’integrità territoriale dell’Ucraina, prendendo così posizione contro le idee di riconoscimento e di separazione. Il giorno dell’invasione russa, in un video-messaggio ha parlato di un’aggressione proveniente dalla Russia e ha chiesto al presidente Putin di ritirare le truppe. Ha sottolineato l’integrità territoriale dell’Ucraina e lanciato un appello alla preghiera per i soldati ucraini (cf. Regno-doc. 5,2022,130).
Alcuni giorni dopo, il Sinodo della Chiesa ortodossa ucraina ha pubblicato un appello nel quale chiedeva al patriarca russo Cirillo di rivolgersi al presidente russo e chiedere la fine della guerra.
Ma finora il Patriarcato di Mosca ha taciuto su queste richieste. La sera del primo giorno di guerra il patriarca ha fatto pubblicare una dichiarazione generica, nella quale non ha parlato di guerra o invasione, ma genericamente di avvenimenti che hanno luogo in Ucraina (cf. Regno-doc. 5,2022, 130). Ha chiesto a tutte le parti coinvolte nel conflitto d’evitare vittime civili. Le richieste della Chiesa ortodossa ucraina, che solitamente vengono pubblicate anche dalla Chiesa ortodossa russa, non si trovano sul suo sito Internet. Lì si parla dell’aiuto che i centri ecclesiastici russi forniscono ai rifugiati provenienti dall’Ucraina e di casi di vandalismo contro le chiese della Chiesa ortodossa ucraina, ma sul sito della Chiesa ortodossa russa non compaiono i suddetti appelli dei suoi capi. A volte si dice che la Chiesa ortodossa d’Ucraina è sotto pressione, sottintendendo che il governo ucraino stia forzando i vescovi a fare tali dichiarazioni. Questo silenzio ha provocato ulteriori reazioni in Ucraina. Molti preti si sono rifiutati di continuare a commemorare il patriarca russo durante la liturgia. Nella città di Sumy nel Nord-est dell’Ucraina, una città particolarmente contesa, dista solo circa 30 km dal confine russo, il metropolita, considerato amico dei russi, ha dato disposizione ai chierici di non commemorare più il patriarca nella liturgia.
Altre diocesi importanti (Leopoli, Ivano-Frankivs’k) hanno seguito l’esempio. Anche tutti i monaci del celebre monastero di Počajivska, che è stato sempre un bastione della vita ecclesiale russa e delle posizioni antioccidentali, con a capo il metropolita, hanno pregato il patriarca di far valere la sua influenza sui dirigenti russi e chiedere loro di cessare le azioni belliche. L’unica reazione di Mosca a questi sviluppi è stata la pubblicazione di una lettera al metropolita di Sumy, nella quale viene accusato di scisma a causa della sua mancata menzione del patriarca.
Un terzo dei fedeli di Mosca sta in Ucraina
Significativamente da nessuna parte si dice o anche solo s’accenna al motivo per cui il metropolita si è comportato in questo modo. Chi dispone come unica fonte informativa del sito Internet della Chiesa ortodossa russa deve partire dal fatto che il metropolita di Sumy e solo lui ha improvvisamente e senza motivo rotto la comunione con Mosca.
Nel frattempo il patriarca Cirillo ha preso una posizione sostanziale sulla guerra. In due omelie, il 6 e il 9 marzo, ha accusato l’Occidente di cercare d’imporre i suoi valori all’Ucraina contro la sua volontà. Ha parlato di una guerra «metafisica». Le sue dichiarazioni mostrano come egli fondamentalmente condivida la narrativa della leadership russa. Circa 280 sacerdoti della Chiesa ortodossa russa (su un totale di 38.000) si sono espressi contro la guerra in una dichiarazione pubblica. È un gruppo relativamente piccolo, ma le autorità statali stanno reprimendo duramente i dissidenti. Questi sviluppi illustrano i problemi di fronte ai quali a oggi si trova la Chiesa ortodossa russa e di fronte ai quali si troverà soprattutto dopo la fine della guerra. Se la Russia dovesse conquistare il controllo dell’Ucraina, vi instaurerebbe un regime fantoccio che analogamente all’attuale governo della Bielorussia si collocherebbe strettamente a fianco della Russia.
Allora probabilmente la Chiesa ortodossa russa tenterebbe di spingere i membri più importanti dell’episcopato della Chiesa ortodossa ucraina a dichiarazioni di pentimento oppure dovrebbe sostituirli, dato che si sono opposti apertamente al patriarca. Può anche darsi che lo status di autoamministrazione della Chiesa ortodossa ucraina venga nuovamente revocato. Se l’Ucraina dovesse vincere la guerra e cacciare gli invasori russi, è difficile immaginare che la Chiesa ortodossa ucraina rimanga subordinata alla Chiesa ortodossa russa. Ed è anche difficile che essa si unisca senz’altro con la Chiesa ortodossa di Ucraina; questo comunque cambierà anche le relazioni fra le Chiese.
Il dilemma della Chiesa ortodossa russa sarà ulteriormente aggravato dal fatto che circa un terzo delle sue comunità si trova in Ucraina e che lì la vita ecclesiale è molto più vivace che in Russia. Se essa perde la Chiesa ortodossa ucraina (o molte delle sue comunità), con questo distacco perderà la fetta principale della Chiesa ortodossa russa. Se riuscirà invece a sottomettere nuovamente la Chiesa ortodossa ucraina, questa opzione sarebbe come una vittoria di Pirro. Le comunità resterebbero formalmente con la Chiesa ortodossa russa, ma la maggior parte dei preti e dei fedeli resterebbe, anche se parla russo, leale all’Ucraina e vedrebbe nella Russia l’aggressore. Probabilmente entrerebbe nella Chiesa ortodossa di Ucraina, almeno fino a quando questo rimanesse ancora permesso.
In ogni caso l’ortodossia russa ha davanti a sé importanti problematiche delle quali essa stessa è responsabile a motivo della deriva che oggi ha intrapreso.
[1] docente di Studi ecumenici, Studi ecclesiastici orientali e Studi sulla pace all’Università di Munster.