LIEVITO DI PASQUA AL LAVORO
Don Augusto Fontana

Il Regno di Dio è simile al lievito, che una donna nascose in tre misure di farina (Lc 13,21).

LIEVITO DI PASQUA AL LAVORO. Don Augusto Fontana
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L come Lievito.
Ho cercato un’immagine che potesse esprimere il significato della Pasqua ebraica, di Cristo e della Chiesa. L’ho trovata nel segno del lievito. Del lievito se ne parla nella Bibbia una ventina di volte nell’Antico e nel Nuovo Testamento.  In particolare Paolo scrive ai Corinti (1 Cor 5): «Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta?  Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi». Parlerò dunque del “Fattore L” cioè del lievito come chiave interpretativa della Pasqua di Gesù e della Chiesa.
Risaliamo a circa 2000 anni prima di Cristo, quando agli ebrei, in occasione della loro Pasqua, veniva intimato, pena l’eliminazione dalla comunità, di buttare via il lievito vecchio per una settimana affinchè nella farina del nuovo raccolto non andasse a finire un lievito vecchio, ma venisse fermentata da lievito nuovo. Mettere il lievito vecchio nella pasta del pane ricavata dal nuovo raccolto del grano significava profanarne la santità: «Il 14 del primo mese di Nisan sarà per voi un memoriale e lo festeggerete come festa del Signore di generazione in generazione come rito perenne. Nel primo giorno, e per 7 giorni, farete sparire il lievito dalle vostre case. Non mangerete niente di lievitato e mangerete pani azzimi». Il lievito se è vecchio corrompe, se è nuovo dà volume, bontà e consistenza. Gesù ha usato il lievito per parlare di sè e del Regno di Dio: «È simile al lievito, che una donna prese e nascose in tre misure di farina» (Lc 13,21).
Lievito al lavoro.
Lievito al lavoro” potrebbe significare: “Il lievito è già al lavoro” cioè attualmente il lievito del Regno di Dio “sta lavorando” e occorre scoprirne la sua presenza per proteggere, aiutare, annunciare questa nascosta fermentazione. “Lievito al lavoro” potrebbe anche significare “occorre più lievito nel lavoro!” perchè il lavoro è sempre più simile a un pane azzimo secco per tempi di sopravvivenza, piuttosto che ad una pagnotta lievitata da umanizzazione ed eucarestia. Anche la comunità cristiana, in tutto il suo impegno di catechesi e liturgia, non può tenere troppo a lungo separati la farina e il lievito; è urgente tornare a mescolare il lievito al lavoro e il lavoro al lievito, per evangelizzare il lavoro, l’economia, la politica (CEI Evangelizzare il sociale, 1992).
Lievito al lavoro” potrebbe anche significare: “occorre onorare l’attività lavorativa di uomo e donna, riconoscendole valore lievitante per la vita personale e per la convivenza”. È giusto che la chiesa riconosca al lavoro un valore aggiunto oltre quello di pura sussistenza. Per proclamare questo “Credo” occorre saper rispondere alla domanda: nell’organizzazione del lavoro, negli ambienti di lavoro, nei lavoratori, nella attenzione della comunità cristiana verso i lavoratori sta davvero lievitando qualcosa di evangelico? Dove? Come?
Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 4) scrive tra l’altro: «Sappiamo che l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell’uomo… Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo».
La Pasqua è al lavoro non solo nelle celebrazioni del Triduo Santo o nella Pasqua settimanale, ma anche quando il ritmo pasquale (uscire da schiavitù, camminare per deserti, entrare come popolo, celebrare) pulsa nella liturgia scalza del lavoro, delle relazioni inclusive, del volontariato, della politica.
Nel giorno della Pasqua di Gesù mi è venuto spesso il sospetto che fin dal giorno della Incarnazione Dio avesse nascosto, nella piccola e povera carne e storia di Gesù, il lievito dell’uomo nuovo. Ci sono voluti 33 anni di lievitazione, ora finalmente Dio approva la vita di Gesù e ne fa l’icona di ogni uomo che voglia navigare con le vele rigonfiate dal soffio dello Spirito.  La liturgia dell’Epifania ogni anno ci fa proclamare che la festa di Pasqua è il lievito di tutte le feste. Occorre togliere il vecchio lievito di generiche religiosità per far passare le domeniche, le feste dei santi, di Maria, del Natale, alla loro vera funzione pasquale. Non celebrazioni light, inconsistenti, consolatorie; ma che provochino le nostre uscite dalle sacrestie, il nostro coraggio, la dimensione comunitaria della fede.
Nascosti nella farina.
Il fattore L permette di reinterpretare le vicende della vita in chiave pasquale. Mi basti citare un breve passo dell’Enciclica Evangelii nuntiandi di Paolo VI :«Il campo proprio dei laici è il vasto e complicato mondo della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze, delle arti, della vita internazionale, degli strumenti di comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza» (E.N. 70).
Per tornare al segno del lievito: occorre mettere a terra le beatitudini che sono un assaggio della resurrezione. Ci fu un tempo in cui occorrevano santi re, papi e regine; ci fu un tempo in cui occorrevano santi preti e monaci; oggi è tempo di santi laici negli ambiti della famiglia, del lavoro, della politica e dell’economia: «Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata» (Mt 13,33). Come il lievito diffonde la sua forza in tutta la pasta, cosí anche voi – vuol dire Gesú – dovete trasformare il mondo intero “nascondendovi dentro” alla farina (e non solo accostandovi alla farina o sfiorandola). «Come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani» (Lettera a Diogneto, 6).
Nell’epoca che Zygmunt Bauman ha ricon­dotto alla categoria della liquidità, diventa flut­tuante anche la fede cristiana, come un salvagente mezzo sgonfio nel mare aperto del mercato spirituale contempo­raneo. In fondo la liquidità tende a liqui­dare o diluire anche ogni fede. Se la comunità cristiana attenua la propria radicalità e si trasforma in un cristianesimo all’acqua di rose, finisce per perdere la sua carica d’interesse e di attra­zione. Non c’è una ricetta cristiana, ma c’è la permanente pos­sibilità di essere un lievito, un sapore, dentro un faticoso processo di uma­nizzazione. In esso la radicalità evangelica si presenta spoglia ma forse, proprio per questo, in grado di dire una parola credibi­le alle donne e agli uomini del mondo con­temporaneo. «Il Giubileo inizia fuori dal tempio con azioni concrete e in piazza» scrive l’economista e biblista Luigino Bruni (Avvenire 08/04/25, pag 15). E’ dunque ora che i cristiani ritrovino l’essenziale: annunciare la risur­rezione, praticare la giustizia, evangelizzare il sociale.

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