Da quel grido la nuova creazione
padre Ermes Ronchi (16-03-2008)
Il cuore del Vangelo è il racconto di questo lungo dolore. La «bella notizia» in realtà narra una morte, il patire di un Dio appassionato. Su questo paradosso Paolo centra tutto il suo annuncio: «Io non voglio sapere niente altro che Cristo e questi crocifisso».
Solo inginocchiato davanti alla croce posso dire chi è Dio. «Voi chi dite che io sia?». Tu sei un crocifisso amore.
La croce è l’abisso dove Dio si rivela l’amante. Sulla croce il male raggiunge la sua massima intensità: riesce ad uccidere l’autore della vita. Proprio in quell’evento Dio si esprime totalmente: in lui si precipita tutto il male del mondo, quel male che si vince solo portandolo. E Dio dà se stesso al male che lo crocifigge, a noi che lo crocifiggiamo.
Il sommo male tocca il fondo senza fondo dell’abisso di Dio, che rivela la sua gloria: non salva se stesso, ma dà la sua vita (S.Fausti). Il nostro Dio è differente, è il Dio che entra nella tragedia cui è inchiodata ogni sua creatura, è amore che si immerge nell’oscurità e nel grido della nostra morte, che vince morendo. Perfino il sole di mezzogiorno sembra ribellarsi, la tenebra inghiotte la luce, è la creazione che ritorna al caos primordiale, a un «in principio» da cui Dio trae un mondo nuovo. Il grido alto di Cristo che muore è la voce potente del Verbo creatore, che richiama il sole dal grembo della notte; è il vagito possente e vittorioso dell’uomo che nasce. Quando Gesù muore, un’altra creazione si dischiude.
Il Vangelo racconta che il sole, la terra, le rocce, il tempio, i sepolcri, i morti e i vivi, tutto è scosso e messo in discussione. Matteo sa che l’ora che sommuove le profondità della storia e del cosmo è questa. All’ora nona finiva un mondo e ne nasceva un altro. Vertice della storia.
«Scendi dalla croce», gridavano. Ma se scende, vince ancora la logica del vecchio mondo, chi ragiona in termini di potenza. Se scende, è solo un Signore onnipotente. Invece egli è altro, è un Amore onnipotente. Che può soltanto ciò che l’amore può. Solo il nostro Dio non scende dal legno. Si consegna alla Notte, si abbandona all’Altro per gli altri. Rappresentandoci tutti nei nostri abbandoni, nelle nostre notti, nelle desolazioni. Ogni nostro grido, ogni abbandono, può sembrare una sconfitta. Ma se è gridato al Padre, ha il potere, senza che sappiamo come, di far tremare la pietra di ogni nostro sepolcro.
L’amante e l’abisso
padre Ermes Ronchi (24-03-2002)
Dal Vangelo di Matteo: Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: «In verità vi dico, uno di voi mi tradirà». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbi, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
La terra intera risuona di un grido: grido di nostalgia. È la profonda malinconia del paradiso perduto, del Dio perduto, dell’amore e della pace perduti. La terra, con i suoi cardi e le sue spine, con le sue primule e i sempreverdi e le sue stelle e, ogni tanto, la sua tenerezza, ma solo ogni tanto e furtivamente. E la sua crudeltà spesso, troppo spesso, e le sue lacrime e i suoi singhiozzi. E un giorno Dio non lo ha più sopportato. Dio non ha più potuto trattenersi. E allora ha impugnato il seme di Adamo e si è messo a gridare insieme ai suoi figli lo stesso grido di nostalgia, radicato nell’angoscia, radicato nel sangue e nell’amore, e si è incarnato. Ed è salito sulla croce. Solo per essere con me e come me. Solo perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio deve nel suo amore all’uomo che è in croce. L’amore conosce molti doveri, ma il primo di questi doveri è di essere con l’amato. Solo un Dio sale sulla croce ed entra nella morte perché nella morte entra ogni suo amato. E qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio. Qualunque uomo, qualunque re, se potesse, scenderebbe dalla croce. Solo un Dio non scende dal legno. La croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante, genesi perfetta di Dio fra gli uomini. Questo dicono le prime parole pronunciate sul mondo dopo la morte di Gesù: davvero costui era il Figlio di Dio.
L’atto di fede nasce dalla croce: no, credere a Pasqua non è giusta fede: / troppo bello sei a Pasqua! / Fede vera è al venerdì santo / quando Tu non c’eri / lassù! / Quando non un’eco / risponde/ al tuo alto grido (David Maria Turoldo). Essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio crocifisso (cardinale Carlo Maria Martini). Entriamo, con questa settimana, nei giorni del nostro destino, i giorni della «vendetta di Dio»: quando Dio si vendica di tutta la lontananza, di tutta l’indifferenza, di tutta la separazione, inventando la croce che solleva la terra, che abbassa il cielo, che raccoglie i quattro orizzonti, crocevia di tutte le nostre strade disperse. Le braccia di Gesù, inchiodate e distese in un abbraccio che non può più rinnegarsi, sono le porte dell’Eden spalancate per sempre, sono cuore dilatato fino a lacerarsi molto prima del colpo di lancia, sono accoglienza di ogni creatura, alleanza con tutto ciò che vive: genesi dell’uomo in Dio. Perché l’amato nasce dalle ferite del cuore di chi lo ama. L’uomo nasce dal cuore trafitto del suo Creatore. E capisce che la vita non è possesso o rapina, ma dono di sé; che Dio e la vita sono dono reciproco di sé. Allora la croce è davvero la gloria di Dio, l’ora gloriosa della vita.