L’abete solitario. di Bruno Ferrero
“C’è ancora qualcuno che danza” Ed. ELLEDICI
L’ululato del lupo corse come un brivido lungo il fianco della montagna. Un cervo, che stava brucando l’erba molle di rugiada, si spaventò e partì di gran carriera. Le imponenti corna del cervo sfioravano e scuotevano i rami. Una pigna matura si staccò da un ramo di abete, rotolò giù per il costone, rimbalzò su una roccia sporgente e finì con un tonfo in un avvallamento umido e ben esposto. Una manciata di semi venne sbalzata fuori dal suo comodo alloggio e si sparse sul terreno.
«Urrà! E’ venuto il nostro momento. Ce l’abbiamo fatta!» gridarono i semi all’unisono.
Cominciarono a germogliare, ma scoprirono ben presto che l’essere in tanti provocava qualche difficoltà.
«Fatti un po’ più in là, per favore!» diceva uno. E l’altro: «Attento! Mi hai messo il germoglio in un occhio!». E così via. Comunque, urtandosi e sgomitando, tutti i semi si trovarono un posticino per germogliare. Tutti meno uno. Un seme bello e robusto dichiarò chiaramente le sue intenzioni: «Mi sembrate un branco di sciocchi! Pigiati come siete, vi rubate il terreno l’un con l’altro e crescerete rachitici e stentati. Non voglio aver niente a che fare con voi. Da solo potrò diventare un albero grande, nobile e imponente». Con l’aiuto della pioggia e del vento, il seme riuscì ad allontanarsi dai suoi fratelli e piantò le radici, solitario, sul crinale della montagna. Dopo qualche stagione, grazie alla neve, alla pioggia e al sole divenne un magnifico giovane abete che dominava la valletta in cui i suoi fratelli erano invece diventati un bosco. Certo, i problemi non mancavano. «Stai fermo con quei rami! Mi fai cadere gli aghi» diceva uno. E l’altro: «E tu mi rubi il sole! Fatti più in là».
L’abete solitario li guardava ironico e superbo. Lui aveva tutto il sole e lo spazio che desiderava. Ma una notte di fine agosto, le stelle e la luna sparirono sotto una cavalcata di nuvoloni minacciosi finché sulla montagna si abbatté una bufera devastante. Gli abeti del bosco si strinsero l’uno accanto all’altro, proteggendosi e sostenendosi a vicenda.
Quando la tempesta si placò gli abeti sfiniti si scoprirono salvi. Tutti meno uno. Del superbo abete solitario non restava che un mozzicone scheggiato e malinconico sul crinale della montagna.