Sinodo Amazzonico
CHIESA POVERA E SERVA,PROFETICA E SAMARITANA

Tierra, trabajo y techo (terra, lavoro e casa)
Patto delle catacombe per la Casa Comune
Oltre cinquanta anni fa, il 16 novembre 1965 alle catacombe di santa Domitilla, quaranta vescovi che partecipavano al Concilio Vaticano II si impegnavano per realizzare effettivamente una «Chiesa povera e dei poveri». Il 20 ottobre scorso, sempre alle catacombe di santa Domitilla, circa 200 partecipanti al Sinodo (di cui quaranta vescovi, oltre ad altri padri sinodali, uditori e periti) hanno poi firmato il patto, un elenco di quindici impegni «per una Chiesa dal volto amazzonico, povera e serva, profetica e samaritana».

Per una Chiesa dal volto amazzonico, povera e serva, profetica e samaritana
Tratto da: Adista Documenti n° 39 del 16/11/2019

Noi, partecipanti al Sinodo panamazzonico, condividiamo la gioia di vivere tra tanti popoli indigeni, quilombolas, ribeirinhos, migranti, e tra le comunità alla periferia delle città di questo immenso territorio del pianeta. Con loro abbiamo sperimentato la forza del Vangelo che opera nei piccoli. L’incontro con queste persone ci sfida e ci invita a una vita più semplice di condivisione e di gratuità. Influenzati dall’ascolto del loro grido e delle loro lacrime, accogliamo con tutto il cuore le parole di papa Francesco: «Molti fratelli e sorelle in Amazzonia portano pesanti croci e attendono il conforto liberatore del Vangelo, la carezza amorevole della Chiesa. Per loro, con loro, camminiamo insieme».
Ricordiamo con gratitudine i vescovi che alla fine del Concilio Vaticano II, nelle Catacombe di Santa Domitilla, firmarono “Il Patto per una Chiesa serva e povera”. Ricordiamo con riverenza tutti i martiri delle Comunità Ecclesiali di Base, delle comunità pastorali e dei movimenti popolari; leader indigeni, missionarie e missionari, laici, preti e vescovi, che hanno versato il loro sangue a causa di quest’opzione per i poveri, per difendere la vita e lottare per la salvaguardia della nostra Casa Comune. Al ringraziamento per il loro eroismo uniamo la nostra decisione di continuare la loro lotta con fermezza e coraggio. È un sentimento di urgenza che si impone di fronte alle aggressioni che oggi devastano il territorio amazzonico, minacciato dalla violenza di un sistema economico predatore e consumistico.
Di fronte alla Santissima Trinità, in rappresentanza delle nostre Chiese particolari, le Chiese dell’America Latina e dei Caraibi e quelle che sono solidali in Africa, Asia, Oceania, Europa e nel Nord del continente americano, ai piedi degli apostoli Pietro e Paolo e della moltitudine di martiri di Roma, dell’America Latina e in particolare della nostra Amazzonia, in profonda comunione con il successore di Pietro, invochiamo lo Spirito Santo e ci impegniamo personalmente e comunitariamente a operare come segue:

  1. Ad assumere, di fronte all’estrema minaccia del riscaldamento globale e dell’esaurimento delle risorse naturali, l’impegno a difendere la foresta amazzonica nei nostri territori e con i nostri comportamenti. È da essa che derivano il dono dell’acqua per gran parte del territorio sudamericano, il contributo al ciclo del carbonio e la regolazione del clima globale, una biodiversità incalcolabile e una ricca socio-diversità per l’umanità e l’intero pianeta.
  2. A riconoscere che non siamo i padroni della madre terra, ma i suoi figli e le sue figlie, creati dalla polvere della terra (Gen 2,7-8), ospiti e pellegrini (1 Pt 1,17b e 1 Pt 2,11), chiamati a essere i suoi zelanti custodi (Gen 1,26). Per questo ci impegniamo a favore di un’ecologia integrale, in cui tutto è interconnesso, il genere umano e tutta la creazione, perché tutti gli esseri sono figlie e figli della terra e su di loro aleggia lo Spirito di Dio (Gen 1,2).
  3. Ad accogliere e rinnovare ogni giorno l’alleanza di Dio con tutto il creato: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra» (Gen 9, 9-10).
  4. A rinnovare nelle nostre Chiese l’opzione preferenziale per i poveri, in particolare per i popoli originari, e insieme a loro a garantire il loro diritto a essere protagonisti nella società e nella Chiesa. Ad aiutarli a preservare le loro terre, culture, lingue, storie, identità e spiritualità. A rafforzare la consapevolezza della necessità che siano rispettati a livello locale e globale e, di conseguenza, con tutti i mezzi alla nostra portata, ad assicurare che vengano accolti su un piano di parità nel concerto mondiale dei popoli e delle culture.
  5. Ad abbandonare, pertanto, nelle nostre parrocchie, nelle diocesi e nei gruppi ogni tipo di mentalità e posizione colonialiste, accogliendo e valorizzando la diversità culturale, etnica e linguistica in un dialogo rispettoso con tutte le tradizioni spirituali.
  6. A denunciare tutte le forme di violenza e di aggressione contro l’autonomia e i diritti delle popolazioni indigene, la loro identità, i loro territori e i loro stili di vita.
  7. Ad annunciare la novità liberante del Vangelo di Gesù Cristo, nell’accogliere l’altro e il diverso, come accadde a Pietro nella casa di Cornelio: «Voi sapete che non è lecito per un Giudeo unirsi o incontrarsi con persone di altra razza; ma Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo» (At 10,28).
  8. A camminare ecumenicamente con altre comunità cristiane nell’annuncio inculturato e liberante del Vangelo, e anche con altre religioni e persone di buona volontà, in solidarietà con i popoli originari, i poveri e i piccoli, in difesa dei loro diritti e nella salvaguardia della Casa Comune.
  9. A instaurare nelle nostre Chiese particolari uno stile di vita sinodale, in cui i rappresentanti dei popoli originari, i missionari, i laici, in forza del loro battesimo e in comunione con i loro pastori, abbiano voce e voto nelle assemblee diocesane, nei consigli pastorali e parrocchiali, in breve, in tutto ciò che riguarda il governo delle comunità.
  10. A impegnarci nell’urgente riconoscimento dei ministeri ecclesiali già esistenti nelle comunità, portati avanti da agenti di pastorale, catechisti indigeni, ministre e ministri della Parola, valorizzando soprattutto il loro atteggiamento di cura nei confronti dei più vulnerabili e degli esclusi.
  11. A rendere effettivo, nelle comunità che ci sono state affidate, il passaggio da una pastorale della visita a una pastorale della presenza, assicurando che il diritto alla mensa della Parola e alla mensa dell’Eucaristia sia garantito in tutte le comunità.
  12. A riconoscere i servizi e la reale diaconia della grande quantità di donne che oggi guidano le comunità in Amazzonia cercando di consolidarle con un adeguato ministero di donne animatrici di comunità.
  13. A cercare nuovi percorsi di azione pastorale nelle città in cui operiamo, con il protagonismo dei laici e dei giovani, rivolgendo l’attenzione alle periferie e ai migranti, ai lavoratori e ai disoccupati, agli studenti, agli educatori, ai ricercatori e al mondo della cultura e della comunicazione.
  14. Ad assumere, di fronte alla valanga del consumismo, uno stile di vita gioiosamente sobrio, semplice e solidale con coloro che hanno poco o niente; a ridurre la produzione di rifiuti e l’uso della plastica, a favorire la produzione e la commercializzazione di prodotti agro-eco logici e a utilizzare i trasporti pubblici, se possibile.
  15. A porci accanto a coloro che sono perseguitati per il servizio profetico di denuncia e di riparazione delle ingiustizie, di difesa della terra e dei diritti dei piccoli, di accoglienza e sostegno dei migranti e dei rifugiati. A coltivare vere amicizie con i poveri, a visitare i più indifesi e i malati, esercitando il ministero dell’ascolto, della consolazione e dell’appoggio che donano coraggio e rinnovano la speranza.

Consapevoli delle nostre debolezze, della nostra povertà e piccolezza di fronte a sfide così grandi e serie, ci affidiamo alla preghiera della Chiesa. Possano le nostre comunità ecclesiali, soprattutto, aiutarci con la loro intercessione, con il loro affetto nel Signore e, quando necessario, con la carità della correzione fraterna.
Accogliamo con favore l’invito del cardinale Hummes a lasciarci guidare dallo Spirito Santo in questi giorni del Sinodo e al ritorno nelle nostre chiese: «Lasciatevi avvolgere dal manto della Madre di Dio e della Regina dell’Amazzonia. Non lasciamo che abbia il sopravvento l’autoreferenzialità, ma facciamo in modo che abbia la meglio la misericordia davanti al grido dei poveri e della terra. Ci vorranno molta preghiera, meditazione e discernimento, nonché una pratica concreta di comunione ecclesiale e spirito sinodale. Questo sinodo è come una mensa che Dio ha preparato per i suoi poveri e quello che ci viene chiesto è di essere coloro che servono alla mensa». Celebriamo quest’Eucaristia del Patto come «un atto di amore cosmico». «“Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo”. L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico “la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso”. Perciò l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato» (Laudato si, 236).
Catacombe di Santa Domitilla. Roma, 20 ottobre 2019

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