I “patti di sangue” restano solo tra arcaiche memorie di moschettieri e, si dice, in occulte magie mafiose. I patti di sangue oggi si sono trasformati in una firma in calce a contratti che hanno tutto meno che il linguaggio della comunione di vita e il vigore dell’impegno assunto in fiducia, sulla parola data tra galantuomini. Sul collo dei contraenti alita il fiato degli avvocati, residui sacerdotali per un tempo di pensiero debole, fragili impegni e amori flessibili.
Liturgia
Parlare o tacere di Dio? Ma se decido di parlarne non posso farlo né in gramaglie né inducendo mortifera noia, ma solo con gioia nei confronti di Uno che, lo so, incenerirà ogni volta le parole che ho faticosamente trovato per capirlo, annunciarlo, lodarlo.
attese di una fede pasquale sulla mia vita e sulla nostra morte; desideri di una chiesa meno legnosa e più umana e profetica, di una convivenza che abbia almeno un giorno senza conflitti e un pomeriggio dove tutti, proprio tutti, possano mangiare, di un parlarsi che sia comunicazione, di un popolo di discepoli del Signore che smettano di essere consumatori del supermarket della religione.Nel mio oggi, Signore, dov’è la tua Promessa? L’oggi è già invaso da una Pentecoste senza tuoni e fragori, vite di persone semplici percorse dal brivido del perdono, del servizio senza sconti, della fedeltà rocciosa, del martirio di una santità di vita ordinaria vissuta straordinariamente.
Asceso al cielo, comodamente seduto alla destra di Dio? Quale cielo mi interessa oggi? Che me ne faccio di un Dio Maggiore, andato in pensione anticipatamente, mentre io, e forse tu con me, siamo travolti e risucchiati da piccoli Dei minori, da tempi iniqui, mercati corrotti, referendum complessi, pastorale affannosa, orfanezza di rapporti?
Il Capitolo 15 di Giovanni è una sinfonia dell’amore (agape), un amore dalle radici solide e dal tronco sano (Io sono la vite). Un amore in tutte le sfumature armoniche di cui siamo capaci, come singoli e come comunità, in tempi di violenze narrate e di amori normali o eroici taciuti.
La liturgia della 5a domenica di Pasqua sfiora la festa civile del 1°maggio oggi ancora segnata dalla crisi sanitaria e sociale della pandemia. Ogni parola suona strana in queste condizioni, anche le solenni autodichiarazioni di Gesù, tanto quanto gli slogan per il 1° maggio: “L’Italia si cura con il lavoro”. I Vescovi italiani hanno qualificato la ricorrenza con un riferimento biblico alla ricostruzione di Gerusalemme narrata nel Libro di Neemia: «E AL POPOLO STAVA A CUORE IL LAVORO» (Neemia 3,38), un lavoro di ricostruzione delle vite e dei rapporti più che delle mura e del tempio.Eppure, come scrisse don Angelo Casati, il Vangelo ci fa sognare giardini più che rovine o musei impolverati.
Oggi li chiamiamo LEADERS, STARS, PREMIER e non più PASTORI; e le loro pecore si chiamano FANS, BOYS e non più GREGGE. E pochi di noi hanno esperienza diretta di pastori e greggi. Dunque i riferimenti simbolici del Vangelo di oggi rischiano di essere incomprensibili dal punto di vista emozionale ed esistenziale. La cosa si complica anche per il fatto che identificare una comunità con un gregge significa darle un attributo di massificazione; e identificare un battezzato con l’attributo di pecora suona offensivo («sei un pecorone!», un pavido, uno che ha venduto il cervello all’ammasso).
Noi siamo abituati ad una fedeltà gregaria, quella del portaborse che dice sempre di sì al capo. La fedeltà di Dio a noi non è di questo tipo; è una fedeltà critica. Dio sembra entrare nelle nostre sicurezze con le parole profetiche disturbanti, le critiche acute, i fallimenti del progressismo vincente da primi della classe, la ribellione dei poveri e degli esclusi. E’ difficile credere in un Dio che non viene a tutelare le nostre soddisfazioni spirituali, le elevazioni mistiche, l’ottimismo decadente e che mi dà la croce come unico luogo di lettura della storia.
Vengono rivelate (donate) Dieci Parole: «Dio pronunciò tutte queste parole». Parole di libertà appartenenti alla “Legge” (Torah), un termine che, nel linguaggio occidentale contemporaneo, non rende giustizia alla densità significativa, coinvolgente e amante attribuitagli dagli uomini giusti dell’ebraismo; basta rileggersi il lungo e mistico salmo 119. Più che di leggi, precetti e comandi si tratta di istruzioni, insegnamenti e parole convincenti.
Oggi celebriamo la resistenza della fede nella oscurità del tunnel con in mano la lampada della promessa e della Parola (“si udì una voce…ascoltatelo”) che non elimina la notte né tutto il tunnel, ma mi consente di camminare, illuminando un metro dopo l’altro: «Lampada ai miei passi è la tua Parola» (salmo 119,105). Nel Salmo di oggi preghiamo così: «Ho creduto anche quando dicevo: “Sono troppo infelice”».