E comunque ci vuole un bel coraggio a cantare il Salmo di Maria: “il Signore ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi”. Tutti verbi al passato, come se lei (io e te) narrasse eventi visti con i propri occhi. Personalmente avrei preferito verbi al futuro, promesse da attendere, speranze da scrutare. Beata Lei che ha già visto e ha già sentito sulla sua carne ciò che a noi tocca sperare con i sogni e gli impegni.
Liturgia
L’incredulità attorno a Gesù si manifesta, ieri e oggi, come mormorazione per il fatto che Dio non si presenta come vorremmo noi.
Può capitare nei matrimoni aristocratici: lei trentenne si “innamora” di un ottantenne e si sposano; con un occhio a villa principesca e yacht lussuosissimo più che per afflato amoroso. Ma capita anche a noi, comuni mortali di essere grati di un dono ma sfuggenti nell’abbraccio al donatore. Anche con Dio. Il proliferare, in certi settori ecclesiali, di pratiche affini alla magia per conseguire guarigioni e assicurarsi il favore del Signore, prova che l’equivoco sul pane che Gesù offre è sempre attuale.
La liturgia domenicale oggi interrompe ancora una volta la Lettura continua del Vangelo di Marco e ci squaderna il capitolo 6 di Giovanni che verrà proclamato quasi per intero fino a domenica 22 agosto. E’ la volta buona per leggere fin da oggi tutto il capitolo 6 per intero. Pane per chi ha fame e fame per chi ha pane. Quale fame abita la nostra esistenza? Di quale nutrimento abbiamo davvero bisogno?
«In sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra, ma nel settimo giorno ha cessato e ha ripreso fiato» (Esodo 31,17).
Gesù non vuole operare da solo e non intende creare una comunità stanziale, statica e isolata. Chiede una comunità che viva tra la gente, entri nei villaggi, stia tra i peccatori, frequenti gli incroci delle città. Oggi i crocicchi e gli incroci tagliano trasversalmente non solo le planimetrie urbane. Nuove sfide e nuovi confini si aprono per una chiesa di cristiani invitati a non fare della propria fede un party esclusivo dove, tra l’altro, l’importante sia arrivare ad allungare le mani per primo e poi chi s’è visto s’è visto, come si usa dire.
Nessuno è profeta in patria: magra consolazione per il dipendente frustrato in azienda, per il prete incompreso in parrocchia, per la donna in carriera trattata come serva in casa. Aforisma sussurrato, forse, da molti compagni di strada, in tempi di ripudio, a don Milani, don Zeno, don Giovanni Rossi, don Mazzolari, P. Balducci, P. Turoldo, d. Dossetti, Fr. Carretto, Mons. Romero, memorie simboliche, non solo clericali, della fatica quotidiana di noi conformisti a discernere, ascoltare e difendere la profezia vestita di stracci.
Ovunque c’è istinto della vita, da quella parte c’è Dio, sembra ribadire anche l’evangelista Marco con quella sua quasi maniacale ossessione di narrare i miracoli di Gesù. Ben due miracoli in un colpo nel brano evangelico di oggi e 18 miracoli in tutto il suo vangelo. Senza dimenticare che per Marco anche la morte di Gesù in croce è paradossalmente un miracolo…
Scrive il biblista Fausti: “Questo racconto è un’esercitazione battesimale per vedere se la Parola ha prodotto il suo frutto. Lo stesso giorno delle parabole, i discepoli falliscono l’esame. Ma l’esperimento non è inutile; fa uscire le difficoltà del loro cuore lento a credere. La parola dovrà entrare in tutte le loro paure. Ma prima deve evidenziarle, anzi suscitarle e farle uscire allo scoperto, per poterle vincere. La Parola, caduta «sulla via», non è attecchita”.
Ascoltando la parola di questa domenica il tema fondamentale che si presenta è quello di un forte invito alla speranza, alle mie speranze esauste. D’altra parte le letture bibliche di oggi nascono da situazioni concrete depresse e deprimenti, ma lette e vissute nella coscienza che Dio vi abita dentro e che nulla potrà impedire all’amore di Dio di portare a compimento la sua volontà di salvezza: «Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia…».